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Full text of "Di alcune poesie dubbiamente attribuite a Paolo Diacono"

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garbarti College Library 



PROM THE BEQ1JEST OF 

JOHN HARVEY TREAT 

OF LAWRENCE, MASS. 

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JOHN HARVEY TREAT 

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DOTT. ANTONIO MASELLI 



DI ALCUNE POESIE 



SIBBIAHENTE AHRISVITE 



PAOLO DIACONO 



STUDIO LETTERARIO-STORICO 



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MOiNTECASSINO 
1905 



DOTT. ANTONIO MASELLI 



DI ALCUNE POESIE 



DVBBUMENTE AmiBUlTE 



PAOLO DIACONO 



MONTECASSINO 
i905 



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j:'L :'■ 1914 



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ripn^'rnfia lìi MonU'fussino 



AT Tv/TTRT Gh H } NTlOIòI 



PESFj&HieiiB 



L' anno 1899 è ricordevole fra gli altri per esaere 
-stato quello in cui si riaflfermò il nome del grande 
^itorico del popolo longobardo, Paolo Diacono. Allora 
appunto cadeva il XI centenario della morte di lui, e 
questo bastò per mettere in moto il mondo dei dotti e 
rivolgerne con maggiore intensità V attenzione a stu- 
diare r opera del Grande Benedettino dell' Archioe- 
nobio Cassinese. Nessun lato della sua molteplice 
attività fu allora trascurato : si discusse di lui come 
storico e come poeta ; si investigarono le fonti della 
«uà vita nel mondo e nel chiostro; si vollero assodare, 
tua con esito non sempre felice, tanti punti oscuri di 
quella. E tutto questo movimento febbrile si chiuse 



vni 

con un congresso, tenuto a Cividale del Friuli dagli 
uomini più eminenti nella critica storica e letteraria 
delle nazioni germanica e italiana. Fu un avvenimento 
non solo regionale, perchè svoltosi nella patria di 
Warnefi-ido, ma quasi internazionale; e gli atti di 
quel congresso furono tramandati ai posteri in un bel 
volume, che trovasi citato nella Bibliografia di questa 
mio studio. 

Tanto movimento entusiastico per Paolo Diacono 

fii come il seme gittato nell' anima mia giovanile, 
educata in quel chiostro, dove Paolo riparò davanti 
air imperversare di quei tempi burrascosi ; dov' egli 
insegnò, scrisse, morì. Quel seme maturò proprio 
quando moveva i primi passi nel vasto campo della 
critica letteraria e produsse questo frutto, che porta 
con sé i segni di quella inesperienza, ma che non è, 
credo, addirittura inutile al grande edificio della 
critica. 

Qui Paolo è studiato largamente nella sua opera 
poetica; qui egli si presenta con una veste, se non 
nuova, certo giammai notata dalla comune delle per- 
sone colte. Ma questo lato della sua attività in tanto 
viene largamente studiato, in quanto da esso possiamo 
trarre maggior lume a discernere fra le tante brevi 
composizioni poetiche, che vanno sotto il suo nome, 
quelle che veramente o probabilmente possono dirsi 
sue. Questo per ora, aspettando tempi migliori e studi 



IX 

più progrediti, che mi permettano di maneggiare con 
più sicurezza e con esito più felice il difficile stru- 
mento della critica. 

Intanto sia questa monografia consacrata a quel 
Montecassino, dove fili educato, e porti V espressione 
del mio affetto devoto a quegli che mi furono larghi 
di consigli neir intricato lavoro : al P. Amelli e ai 

— ^ ' — 

Professori D' Ovidio, Cocchia, Traube. 



Prof. ANTONIO NASELLI 



BIBLIOGRAFIA 



Amelli 



Bethmann 

Gallicaris 

Cipolla 



Cocchia 

Dahn 

Draeoer 

Ebert 

duemmlbr 



— Paolo Diacono, Carlo Magno e Paolino d' Aquilea 
in un epigramma inedito intorno al canto gregoriano 
e ambrosiano. Montecassino, 1899. 

— Atti e Memorie del Congresso storico di Cividale 
nei giorni 3^ 4, 5 settembre 1899. Cividale, 1900. 

— Archiv des Gesellschaft ftir altere deutsche 6e- 
schichtskunde. Voi. X. Frankfurt u. Hannover 1820... 

— Di alcune fonti per lo studio della vita di Paolo 
Diacono. Milano, 1899 e 1901. 

— Note Bibliografiche circa l' odierna condizione 
degli studi critici sul testo delle opere di Paolo 
Diacono. Venezia, 1901. 

— La Sintassi Latina esposta scientificamente ad 
uso delle scuole di magistero. Napoli, 1890. 

— Paul US Diaconus, Leben und Schriften. Habhandl., 
I, Leipzig, 1876. 

— Historische Syntax der Lateinisch. Sprache. 
Leipzig, Voi. I, 1878, II, 1881. 

— Allgemeine Geschichte der Litteratur des Mitte- 
lalters, Leipzig, Voi. II, 1880. 

— Poétae latini aevi carolini. T. I, II, 1881, Mon. 
Germ. Hist. 



XI 



MCJELLEB L. 

NsFF Carolus 



NOVATI 

D' Ovidio F. 

« 
Paucker 

KONCA 

» 

KOENSCH 



De Santi 
Traube 

Tosti 

Waitz 

woellflin 
Zanctto 



— De re metrica Graecorum et Latiuorum. 

— De Paulo Diacono Pesti epitomatorc. Erlangae, 1881. 

— Neues Archiv des Gesellschaft fur altere deutschc 
Geschichtskunde znr Befòrderung einer GesammtauH- 
gabe der Quellenschriften deutscher Geschichten 
des Mittelalters. Hannover und Leipzig, 8.** 

— Storia Letteraria d' Italia. Le Origini. Vallardi^ 
Milano. 

— Suir Origine dei versi italiani a proposito di alcune 
più men recenti indagini. 

— Materialien zur lateinisch. Wòrterbildungsges- 
chichte. Berlin, 1884. 

— Metrica e Ritmica latina nel M. E., I, Roma, 1880. 

— Cultura medievale e Poesia latina d' Italia nei 
sec. XI e XII, voi. I, Roma, 1892. 

— Itala und Vulgata. Das Sprachidion der Urchristli- 
chen Itala und der katholischen Vulgata un ter Be- 
liicksichtigung der Romischen Volkssprachc. Mar- 
burg, 1875. 

— Civiltà Cattolica. Quad» 4 novembre 1899, 16 di- 
cembre 1899, 17 febbraio 1900, 19 maggio 1900. 

— Textgeschich. der Regula S. Bencdicti. Miinchen, 
1898. 

— Die karolingische Dichtungen, Berlin, 1888. 

— Storia della Badia di Montecassino. Roma. Pasqua- 
lucci. 1888. 

— SS. Rer. Lang. et Ital. saec. VI-IX. Mon. Gemi. 
Hist. 

— Archiv ftir lateinisch. Lexikogr. u. Grammatik. 

— Paolo Diacono e il Monachismo occidentale. Udine, 
1899. 



ìs>Tf!niiin!ii?nnii » »ìiTOwww t ìW i !i i ifìtnmm i wt i> 8«w 8t} ti ! tr i i < i ! « isti m 



I. 



CONTENUTO DELLE POESIE DUBBIE 



1. Versus de bonis sacerdotlbas. — AdperennU vitae fontem, ' — 
L'autore descrive un buon pastore di anime, adoperando e para- 
frasando le parole del Vangelo, che per le buone opere promette 
un premio etemo. 

2. De malie sacerdatìbue. — Aqtuirum meta. ^ — Questo carme è 
il contrario del precedente; vi è rappresentata à foschi colori la 
vita dei malvagi sacerdoti ; ci si vede un' anima nobilmente sde- 
gnata e qualche invettiva trova riscontro nella Divina Commedia: 

Str. 7. € Gratis acccpta dono rum cari sm aia 

gratis non dantur, espetuntur praeroia; 
nec qua sit ictus timetur sententia 
Simon iniquus ». 3 

3. Versus de Aquilegia nunquam restauranda. — Ad flendos tuos * — 
Qui si piange la sorte di Aquileia^ distrutta da Attila. Il poeta 
piange amaramente questa sventura, la quale risalta più^ conside- 



1 Po€l. lat I, 79-81. 8) Ibid. 81 -S. 3 Cfr. CapelU in Atti e fnemorie, 100 sg. « O 
Simon MagOf o miseri seguaci. Che le cose di Dio, che di boniate Devono essere spose. %oi 
rapaci Per oro e per areenio «id"lirrafp. — Inf, \ì\. I-i. 5 Poe», lai, I. IIS. 



rando V antico q^leadore dì Aqvfleìa e il eoo stafeD pnaeste. EL 
«^ebbene V aittore «ttrìbuìsea U niiiui della città al carnaio ddllc 
sue colpe, che hanno proToeaia l' ira diTina, non ai astiene però 
dal mettere in rilieTO la Tcndetta di Dio, che ha col|Hto bariiaro 
distruttore. Da tatto fl carme appare manifesto V amor patrio, che 
il poeta nutre in eaor soo. 

4. Versat saper eraeca. — Adam per li^mum — Crmxtma CkriaU — 
Crux tua ler — Crux ina r^jt. * — Ciaiscano di questi quattro distici 
ora forse scritto ai qai;tro <-<rr^mi df-Wa, cr-:-***. D primo ricorda 
la colpa di Adamo e la H^ i'-nz: ^r.e, ?:i altri > jno preghiere per il 
poeta e per altri. 

5. Siis tits's. — Chrùie h- :* mntiL ' — È nn' aiu^ prpg^hìera 
a Cristo, perchè sia di d:f-«<t «• i^r i 1' ir:;: --■ .twf^rs^^rio. E insii'Cima 
ana parafasi dell' inno Tt luru an**:. cL^- li Chiesa canta nella 
(compieta dell' uffizio. 

6. Oisti^ksi is fsrikss. — Dil^-U am'^r, t^ni.^ — L' au^^re 
invita ad entrare in casa sua V aniio. eh** vk-ne on p»acidche in- 
tenzioni: e re>p:n^e aspramente il malici 'j e superbo. 

7. Casisratisses eaavivania prò pots — DalcU amice. bibe. * — 
Anche qni s' invita V amico a bere e mangiare allegramente con 
angnrii sinceri a lai indirizzati. 

8. Epitapbiav Cisttaatli. — Hir decus Itàliae. ^ — Questo epitaffio 
è composto per un duce romano di nome O'^tanzo o Costante, c^mo 
valoroso, che fu il terrore d^lla PannorJa e la gloria di Roma. A 
Ini la moglie Teodora, c.ie aveva preparato il sepolcro suo acranio 
a quello del mariuo. p-or.e Y epitaffio. Qui nf^-un accenno a religione, 
nessuno a Cripto e neppure la preghiera finale, quasi comune agli 
epitaffi del M. £., ma in &uo luogo: 

« IfttaJ B'jlla mjD-;4 timrtVii violare «^-ilchmat, 
Al Tt-^'Jo'a, tQjin, xe cap.eote, pareos.» 

9. Aste fsrct hasiiieae. ^ JJa«r domuM ett Domini. * — Questi distici 
pare che siano stati posti air entrata di una chiesa in giorno solenne 
: di generale perdono o d' indulgenza plenaria. 

10. fcfita^bis* ChlYéarli paeri ref is. — Hoc tatus in viridi. ' — Il 
poeta con copia di soavi e venuste similitudini cerca di far rilevare 



1 PMt teL L 9. fl&id. aibfd, «. élbid. SIMd.9'f. 

7 lUd. Ti-a. 






la grave perdita e lo strazio cagionato ai genitori di Clodario. 
Carlo ed Udegarde. Eccone un saggio: 



< Livida purpureis vaccinia cincta rosetis 
Vernat ut et rosola gliscit in omne decus, 

Pallida oeu sandix, inter viburna refalgit, 

Et uitit imbriflaus Cynthias altus aquis, 
Ut rubit obriza flagranti cocta camino, 
Et rotilat vario Indas honore lapis. » 



Glodario, nato nel 778, morto prima che compisse un anno di 
età, non accumulò terrene ricchezze^ non acquistò gloria militare, 
non vide il glorioso scettro. paterno. Tutto questo era riserbato al 
gemello Ludovico. L' epitaffio si chiude assai teneramente : 



« Hoc tibl, care decus, Karolas lacrimabile Carmen 
Edidit ensipotens rex genitorqae taus. 

ÀBt ego, nate, tibi geoitrix, regina remitto, 
Hildigarda, meus, basia, dulcis amor. 

Bissenosqae prius menses quam volvcret annua. 
Gemmala de flore morte repulsa fluii > 



11. VersHS in tribunali. — Mìdticolor quali specie. * — Come T i- 
rìde ci mostra molteplici colori e sfumature di colorì armonicamente 
combinati insieme, formatisi attraverso i vaporì atmosferici; come 
il sole, sorgendo, diffonde torrenti di luce nel mondo, così tra ugual 
ftdgore appare, forse dipinto sulla porta del tribunale, il terribile 
volto del Signore circondato dai santi. 

12. In basilica S. Mariae. — una ante omnes. ^ — È una breve 
preghiera alla Madonna. 

13. Slne tltulo. — Quid fatis liceat. ^ — Il poeta pare che voglia 
glorificare qualcuno, il quale si è distinto per la sua buona vita. 
Accenna alla gloria che segue gli uomini di merito. 

14. In Assumptione S. M. Virglnls. — Quis possit ampio. * — Que- 
st' inno^ composto per i vesperi dell' Assunzione, celebra la Vergine, 
ricordando i misteri della Redenzione. 



1 Poét. lat. I, 77 t Ibid. 77 3 Ibid. «5, ooU. 4 Ibid. 84-88. 



— 4 — 

15. Ad Abbatem. — SU Uhi sancta phàUtìix. * — È un' esortazione 
ni monaci di un monastero, perchè preservino i loro cuori da cor- 
ruzione e siano ben disposti, a guisa di ferace campo (fecundi ruria 
ad instar), a ricevere il seme della divina parola. 

16. Hymnus in S. Johannem Baptlstam. — Ut queant laxis. ' — Il 
poeta canta con enfasi lirica i prodigi, che precedettero la nascita 
ilei Precursore, e la santità della sua vita. 

17. Multa legit paiLcia. ^ — Questi due distici si trovano aggiunti 
<ì\y Epitome Pompeii Festi di Paolo Diacono. 



2/' (Jhuimv» 



1. OUm Romulea /»anc<w.*— Quest'epigramma fti composto intomo 
alla controversia sorta in Italia, quando Carlo Magno ordinò a tutte 
le chiese del suo impero di adottare il canto gregoriano. A questo 
decreto si ribellarono quelle che avevano il canto ambrosiano. Per 
finire la controversia S. Paolino, Vescovo di Aquileia, propose un 
giudizio di Dio. Si misero due fanciulli {V uno del canto gregoriano, 
l'altro del r ambrosiano) a pregare con le braccia levate davanti 
alla Croce. Avvenne che quello dell' ambrosiano non durò e cadde^ 
mentre durò immobile V altro. Cosi fu data la prevalenza al gre- 
goriano, senza però proscrivere V ambrosiano. 

2. Salice miles egregie, — È una strofetta in lode di S. Mercurio. 

3. Martir Mercuri, saecuXi futuri, ^ — Quest' inno segue la 
precedente strofe. Fu composto in occasione della traslazione delle 
reliquie del Santo a Benevento, ordinata dal duca Arichis nel 758. 

4. Sponda decora Dei. * — Questi versi sono in onore di S. Sco- 
lastica. Vi si accenna a vari! punti della sua vita, ma V autore si 
ferma specialmente nella descrizione dell' ultimo colloquio della 
Santa con S. Benedetto suo fratello, e del temporale che segui per 
le preghiere di lei, come riferisce S. Gregorio Magno. 



1 Podi. lat. I, 83 n. ilbiJ. 8S-84. Slbid.ei i Ameiìì, Paolo Diacono ecc. S.irchiv 
^e» Gesehchafft. pcc. X, 33). 6 Dahn, Paulut X>., 101. 



5 



Dair espoBizione fatta noi possiamo trarre una prima conclusione 
generale, che cioè V autore di questi carmi è un ecclesiastico, un 
monaco, un cortigiano, un poeta d' occasione. Ecclesiastico, perchè 
quasi tutte queste poesie sono in onore di Cristo, della Vergine, 
dei Santi. Monaco, perchè alcuni versi sono indirizzati a monaci 
«d altri celebrano Santi dell' Ordine Benedettino. Poeta d' occasione 
e cortigiano, perchè determinate circostanze hanno spinto il poeta 
a scrivere versi, nei quali spesso si celebrano principi. 





• Il 



CONTENUTO DELLE POESIE DI PAOLO DIACONO 



Delle poesie di Paolo Diacono farò qui diversi gruppi, secondo 
r affinità dei soggetti in esse trattati, e ciascun gruppo sarà da me 
esposto separatamente. 



1.^ 



I^OESIE SACKE 



Di argoiftento sacro due sole conosciamo essere certamente di 
Paolo, da lui riferite nella Illstaria Ijangóbardorum, * 

I. Versus in laude S. Bsneillcti. — Ordiar unde tuo», ^ — In questi 
settantasette distici reciproci Paolo non ha fatto altro che rivestire 
di forma poetica la vita e i miracoli del suo S. Benedetto, come 
sono esposti nei Dialoghi di S. Gregorio Magno; ed egli stesso lo 



ss. Rer. Lan?., Ilisl Lan;;. \, ^. S Fort. lai. I, SC-li. 

S 



attesta, scrivendo nel citato luogo della II. L. : « Cuius (^. Bcncdictiì 
vìtara, sicut notuin est, beatus papa Gregorius in suis dialogis suavi 
sermone composuit. Ego quoque, prò parvitiitc ingenii mei ad ho- 
norem tanti patris singula eius nùracula per singula disticha ele- 
giaco metro contexui. » Sicché Paolo si studia di essere conciso in 
modo da racchiudere in un sol dìstico quel che S. Gregorio espone 
in un capitolo, dote particolare questa del suo stile, specialmente 
poetico. 

'2. Hymnus. — Fratres alacri pectore, — A questo inno premetto 
Paolo nello stesso luogo della H. L. le seguenti parole: « Ilymnum 
quoque singula eiusdem patris miracula continentem metro jambico 
ita texuimus. » Nel quale egli, sempre studioso di brevità ed effi- 
cacia, poco amante di fronzoli ma di semplicità, dice in un dimetro 
quel che neir elegia precedente in un distico. 



2/' 



l>Of:SIK AULICHE ED EXKJMATICIIE 



I. Versus de annis a principia. — A princìpio saecnlornm. * — Questo 
è un acrostico ad A<lc!lperga, figlia di Re Desiderio, moglie del Duca 
di Benevento (Arichis), discepola di Paolo. Le iniziali di ciascun 
verso rendono Adelperga pia. In questo ritmo si enumerano le 
diverse età del mondo, dalla creazione al diluvio, dal diluvio ad 
Abramo, da Abramo a Mosè, da Mosò alla fondazione del Tempio 
di Salomone, da questa alla cattività di Babilonia, dalla cattività 
a Cristo, da Cristo al 7G3, data della composizione del ritmo, in 
cui il regno longobardo godev^a pace alta, sotto il Re Desiderio o 
il Duca Arichis. Ma, fra tanta pace, il monaco poeta ricorda ai 
suoi protettori ed amici: 

« luJax veiiict supenius voi ut l'uljror celitus 
Dies sit ant Iioim ijuando non patet mortalibus 
Felix cpìt quein paratuin inveuepit Doininus. » 

Ad Arichis è dedicata pure un' altra poesia : 



I ss. Rer. Un?. 13- i; Pot'i. lat. I, r». 



— « -> 

2. Sine tltuh. — Aemula liomuleis. * — Xellfi (jualo si celebra 
la fondazione di Salerno, fatta da quei Duca. Egli contrappone V o- 
rigine di questa piccola città a quella della Capitale del mondo, 
nido di ladroni, popolata con inganni e delitti, sacra a falsi numi, 
(JU08 re ferve pudet. Così a lui non sfugge V occasione di lodare 
le insigni virtù del suo protettore ed amico, il suo valore, la sua 
sapienza, la sua giustizia, il suo amor di patria, e chiude con una 
affettuosa preghiera a Cristo. 

3. Versus in Ecclesia SS. Petri et Pauli. — Christe salus ufriusque 
flecus. ^ — È un frammento d' iscrizione, in cui prega per Arichis 
fondatore della chiesa in Salerno. 

4. EpitaphiuTii Arichis Ducis. — Luyenfum lacrimìs populorum. ^ — 
Quel principe, che tante lodi aveva ricevuto da Paolo in viUì, non 
già suo adulatore, come in generale sono gli uomini di corte, ma 
sincero affezionatissimo amico, non poteva non commuovere profon- 
damente queir anima con la sua morte, avvenuta il 25 Agosto 787. * 
L'ultimo dei principi longobardi è morto; T amico, il mecenate, 
r uomo, le cui virtù appena potrebbe degnamente celebrare Tullio 
e Virgilio, non è più, e la terra 6 impregnaUi delle lagrime dei 
popoli, che hanno perduto un Uinto principe. Ne celebra la tacondia, 
la sapienza, perdio conobbe 

Quod logos et pUisis oioJorjn.squo quod ethica paugit 

Ne celebra la pietà, il valore nelle armi : ciò non basta, ma 
Flaminibusque ipsis famina sancta dabat. 

Ma, fra tanto dolore, V animo sensibilissimo di Paolo non poteva 
dimenticare Adelperga infelice : 

€ Tarn felix olim, nunc namque misorrima conjiix, 

Regali in thalamo quam tibi junxitamor, 
Eheu, perpetuo pectus transflxa mucrone. 

Languida membra traliens, ti moribunda dolct. » 

Air affetto materno era mancato testò * il figlio Romoaldo e 
r altro (irimoaldo era tuttora prigioniero. ^ Solo re^Uivanle a conforto 
di UiuUi sventura (noìameìi mali) due figliuole tìorenti di gio- 



1 Poèt. lat. I, il. 8 Ilnd. 11. 3 Ihid. 66 -K, i ihi<l. I, 30; SS. Rrr. Lane. ìi\ 

Dahn, op. e, 55. 5 \JI Ka). au^. a. 787; ì*oì\. hit., I, 68, ». 1. liiiU. 68, n. i\ 



— 9 — 

vanile bellezza (geminata naiae vernanti flave supcrsunt), ritraenti 
la viva immagine paterna (has cernens reddi vultus sibi credit 
amatoa). Si chiude V elegia con la speranza della salvezza di Arichis. 

Paolo, ricordando la prigionia di Grimoaldo, chiama GaUia 
dura, quella terra, in cui questi trovavasi. Quel dura più che 
un sentimento di rancore contro quel Carlo, verso il quale, come 
vedremo, egli si era mostrato cosi pieno di gratitidìne e di amore, 
sembrami consigliato dalla presente circostiinz^ì, la quale gli ri- 
corda tutte le sventure della sua gente, della sua famiglia e di 
quella casa di Benevento, alla quale crasi legato di tanto affetto. * 

5 Super sepulohrum domnae Ansae reginae. — Lactea splendifico.^ — 
Quest' epitaffio dà occasione al poeta di glorificare la regina Ansa 
moglie del re Desiderio, che con lei assicurò al suo regno la pace. 
Ansa fu madre del grande- Adelgis (Adelchis), V erede della corona 
{Adelgis ^nagnum farnmque animoque potenteni). Ansa per amor di pace 
conchiuse opportuni matrimonii: 

« Fortia natArum thalarnis sibi pcctora junxit, 
Discissos noctcns rapidus quos Aufìdu.^ ambii, 
Pacis amore ligans cingunt quos Riieiius et Istor. » 

In questi versi sono designate le tre figlie di Ansa : Adclperga, 
a noi già nota, moglie di Arichis (Aufldas), Liutperga, moglie di 
Tassilone (J«^r-Baviera), ' Ermengarda sposata a Carlo Magno 
(Rhenus) e poi repudiata. * E non solo Ansa si distinse in queste 
opere, ma anche in opere pie. Da lei fu fondato il monastero di 
S. Salvatore in Brescia, dove fu abbatcssa Ansilperga, altra figlia 
di Ansa, * ed altri ricoveri per i pellegrini, che si recavano dalle 
regioni nordiche a Roma e a S. Michele del Gargano. E più vor- 
rebbe dire il poeta, ma soggiunge: 

Concludam paucis: Quicquid pietalo pedundat, 
Quiequid monto micat, gestopum aut luce coruscat, 
In te cuncta simul, fulgens regina, mancbat. » 

Ora dalle poesie composte in lode dei i)rincipi longobardi, pas- 
siamo a quelle in lode di Carlo e della sua famiglia. 



1 Cfr. Capelli, op. e, 6C. 2 Poit. Int. I, «:»-C. 3 Cfi. Hlst. Lang. IH, 31. 4 Dùminler, 
Pool. lai. I, 46. noie 3, 4. n Ibid. 46, n. 5. 

6 (}upsr epiiaflio, ncualo a Paolo <!aT Dahii (op. e p. 67 ssr.), i* accollo dal Dùnimlpr ira lo 
poesia cene, e difeso con mille, argoincnli dal Capelli lop. e. «3 sjr.). 



^ 10 — 

6. Epitaphium Fothaidis f.liae Pippini Regis. — lite ego qiute ia- 
cea. ' — In questo epitaffio si ftx parlare Rothaid, la quale, detto 
il suo nome, fa la storia dei suoi eccelsi natali. Carlo ne ò il fratello, 
quel Carlo, che frchis virtute tonantis sottomise V Italia abbattendo 
il trono longobardo. E qui potrebbe forse qualcuno avere appiglio 
a tacciare di adulazione il nostro Paolo, il quale, come abbiamo 
visto nelle precedenti poesie e come ancora meglio vedremo, era 
tanto attaccato al suo popolo ed ai suoi principi. Io veggo invece 
il buon monaco, che, domata la nativa fierezza longobarda sotto 
la cocolla di S. Benedetto, vede la catastrofe della sua gente come 
disposta dalla Provvidenza e ne adora gli imperscrutabili consigli. 
Ma torniamo al nostro soggetto. Rothaid dunque fa la storia dei 
suoi antenati, cui, nientemeno, fi discendere dal potente Anchiso 
troiano. Ed a risalire tanto alto ben si prestava il nome di Ansigis 
o Anschisa^ potente maestro di palazzo sotto Sigeberto 2", re di 
Austrasia. * D' altra parte Carlo, rinnovatore dell' impero romano, 
nuovo Augusto, amava che così si favoleggiasse, quasi a legittimare 
il nuovo suo titolo e dominio, contrastatogli dall' Imperatore d' 0- 
riente. Né altro bramavano i poeti, che in gran numero egli aveva 
raccolti nella sua corte, la cui prediletta occupazione era appunto 
questa di lodare il loro mecenate. E tanto era invalsa quella opi- 
nione,che Paolo nell' opuscolo sulla successione dei Vescovi di Metz 
dice : « Gens Francorum a troiana prosapia traxit exordium. » ^ 

7. Epitaphium Adeleldis, filiae cuius supra — Perpetiudis amor. * — 
tu, che per amore dcircterna salute vieni qui, vuoi sapere perchè 
vi sono tanti busti? Questo sacerdote (S. Arnolfo), il quale poi salvò 
V ovile, era stato padre di legittima prole, e i suoi discendenti (jui 
vollero avere etemo riposo: 

« Pippini liic proles Adlioljid pisi vip2:o quiescit, 
Quarn simul et reliquas, sanctc, tuerc, pater.» 

8. Epitapliiam Hildegardis Reginae. — Aurea qu/ie falvù. ^ — L' au- 
reo splendore delle figure e degli ornamenti ò indizio del ])rezioso 
deposito custodito in quel luogo. E il corpo della bellissima Ilil- 



I Puél. lai. I, 57; SS. Rer. Lang. Il, 263-66. Questo ed i seguenti epilairi frano nHI' 0- 
raloriocli S. Arnolfo, capostipite della famielia carolingia, il quale oratorio fu adibito a ciiniiero. 

t Capelli, op. p. 8i, noia 2. 3 M. G. U. Pcrlz, Script. Il, Gmla Kpp. Meli. p. 2CS. 

k rot'l. lat. ), 37-58. 5 Ihid. o8. 



— 11 — 

degarde, moglie del [>otento Carlo, la cui bellezza non ha'supcriari 
in Occidente: 

€ Cuius haut tempum pos:$int aei'i^i*" deoopoio 
Sardoiiix Pario, lilia rni&U rosis. » 

Sono però infinitamente più pregevoli le sue qualità morali. 
In una parola tutte le lodi, che potrebbero farsele, si compendiano 
neir essere piaciuta a Carlo {tanto complacuisae viro.) Lei piangono 
il Franco, lo Svevo, il Germano, e lo stesso Britanno, T itala téllvs 
e Roma; e i forti petti dei soldati sono tanto commossi, che fra 
r armi e gli scudi scorrono le lagrime. 

9. Epitaphium Adeleidis flliae Karoli. — Hoc tumulata jacet, ^ — 
Questa bambina, nata mentre Carlo stava all' assedio di Pavia 
(774), morì appena fatto ritorno in Francia. Anche qui il poeta 
piglia occasione di celebrare Carlo. 

10. Epitaphium Hildegardis flliae cuius 8upra. — Hildegard rapuit 
subito, ^ — Quella nota affettuosa, che certo non manca nei precedenti 
epitaffi, perchè Paolo sa fare sue le altrui sventure, ma che pur 
sa di rettorica, assume in questo breve epitaffio un carattere 
schiettamente delicato. Questa bambina, che muore prima d' aver 
compiuto un anno di vita, intenerisie V anima del poeta, che la 
paragona a fiorellino rapito da Borea a principio della primavera 
{ceu raptat Boreas vere Ugustra novo). Ma, meatre tutti si struggono 
in lagrime, ella si gode il cielo. 

Dalle lagrime passiamo ora alle facezie ed agli enigmi; è la 
vita di corte che lo richieis, spezialmente della Corte Carolina, 
in quel rifiorire del classicismo e della vlt:x artistica e scientifica. 
In quella vita, ricza di tanta e molteplice attività, i poeti per ogni 
occasione, per ogni più futile argomento sciorinavano versi senza 
fine ; e Paolo segue la corrente. Al primo arrivare di questo dotto 
nella Corte Carolina, Pietro da Pisa, a nome di Carlo, gì' indirizza 
un saluto ' in versi tetrametri catalettici, ringraziando il cielo per 
aver mandato questo grande, facendogli i più lusinghieri elogi; lo 
chiama po^taritm vatumqiie docti»simum^ lo paragona ^d Omero 
nella lingua greca, a Virgilio nella latina, a Filone nelP ebraica, 
a Tertullo (?) nelle arti, a Fiacco nei metri, a Tibullo nella gentilezza 
deir eloquio. Carlo per assicurarsi della sua permanenza a corte. 



1 Po*l. Jat. r, o». % Ibid. Vfè. 3 Ibid. iS-tt; SS. Rcr. Unfr. 17-8. 



— 12 — 

gli ha affidato l' insegnamento delle lingue agli alunni delle scuole 
palatine, specialmente del greco a quei chierici, che dovevano ac- 
compagnare Rotrude, sua figlia, già promessa all' Imperatore d' 0- 
riente. L'amore, T interesse con cui Paolo disimpegna quell'ufficio 
fanno argomentare a Carlo che il Longobardo sia a ciò mosso da 
speciale amore per lui e questo piglia come arra della stabile sua 
dimora a corte. 

Ecco la risposta di Paolo: 

II. Versus Pauli ad Regem missi. — Sensi cuius verba cepi, ^ — 
Paolo umilmente si schermisce da tanti elogi, anzi li volge in ri- 
dicolo, dicendo eh' egli non desidera mai d' imitare quegli scrittori 
pagani, simili a cani erratici: e, mentre si congratula con Carlo 
delle future nozze di Rotrude, dice che quei chierici, se non sapranno 
più greco di quello che hanno appreso da lui, andando a Costan- 
tinopoli, mutùf similati deridentur statuis. Circa la sua perma- 
nenza egli risponde molto indirettamente : « Io non ho né oro né 
argento, q, se non guadagno la vita insegnando, non ho che darti. 
Altri ti portino ricchi doni, io nel mio dono (l' insegnamento) ti 
offro pura volontà. Solo qui sono trattenuto dall' amore per te, 
non da brama di vana gloria, che possa avere dalle lettere. » Dove 
si noti arte finissima: mentre dice cosa, che forse potrebbe di- 
spiacere a Carlo, sa da quella trarre profitto per accarezzarlo e fargli 
dimenticare il primo colpo. Infine gli assicura il suo amore. * 

In quella corte, dove erano raccolti i dotti e i poeti d' ogni 
parte del vasto impero di Carlo, i quali, com' erano diversi di na- 
zionalità, cosi pure d' indole e di costumi, la maggior parte dei versi 
facevano capo a Carlo, miravano alla sua glorificazione o diretta- 
mente indirettamente ; ma bene spesso V arte loro volgevasi a re- 
ciproci scherzi, a vicendevoli satire, ad aspri motteggi. Così Alenino 
si piglia gioco di un suo servo, che gli presta parecchi servigi; ^ 
e, sotto forma di rimpianto, scherza sul suo discepolo Dodo, tutto 
dedito al vino, cui perciò paragona al cuculo, che dopo aver 
dormito tutto l' inverno, si sveglia al sopraggiungere di primavera, 
rinnovando il monotono canto: 

< Ileii mihi, si cucuhim Bacchus dim^rsit in undis, 
Qui rapiet juvenes vortice pestir<jro. » l 



1 PoCf. lai. I, 50- 1 ; Waiu, SS. Iler. Lanj;. 18-». i Capelli, «»p. e. 86. 3 PoOL lai. F, m. 
4 Ibid. iGtt sg. 



— 13 — 

Se qualcuno di quei poeti avesse dovuto allontanarsi dalia corte, 
eccolo entrare subito in sospetto che i suoi colleghi non lo screditino; 
e contro costoro Alenino implora la protezione di Carlo. ' Ma dagli 
scherzi si passava, come dicevo, agli oltraggi. Così Teodulfo in un 
lungo carme a Carlo trova modo di maltrattare il suo nemico 
Scotto, uomo litigioso e superbo ; ^ giura eterno odio contro di lui ^ 
e fa tale strazio del suo cognome (Scottus), che, togliendo la e, ne 
forma «o^tts-stupido; * e continua su questo tono, facendone ter- 
ribile scempio e ritracndone tutti i difetti. Senti amara ironia di 
questo distico: 

« Hic Scoitas soUus cottus trinomon liababit, 
Gutture geotilupum clatiiat et ipse cavo » 3 

Paolo però non è di questi arrabbiati denigratori. Solo qualche 
cenno di questo sdegno contro Pietro da Pisa si trova nei suoi 
versi. Ma, prima di trattare di questi, credo necessario premettere 
alcune notizie dichiarative. 

Carlo e la sua famiglia erano il principale soggetto dei versi 
dei poeti, coi quali egli era in intima relazione; tanto che tratte- 
nevasi con loro in familiari colloqui, li teneva " seco a mensa, e 
spesso proponeva enigmi, intorno a cui si esercitavano quegl' in- 
gegni. Spesso li faceva proporre in versi e questi ne provocavano 
altri di risposta. Cosa ben naturale in quei tempi, nei quali man- 
cavano più degni soggetti a cantare. Perciò arguzie, astrusità, versi, 
disposti in modo che le lettere venivano a formare disegni, sentenze, 
nomi proprii, erano la delizia di quegli uomini. ^ Ma Paolo non 
perde mai il tempo in tali artifizi e solo troviamo qualche acrostico 
tra i suoi versi; che se si occupò di enigmi, gli è perchè furono 
da altri provocati. Ciò posto, veniamo ai fatti. A nome di Carlo 
furono mandati a Paolo i versi ' che cominciano : 

n Paule sub umbroso misisti tramite versus 



In quibus exultans calamo lo iutlepq posso 
Dixisti quoniam nostro os suscoi>tus lionore. » 



1 Pori. lai. I, i20 ss. 2 Ibid. 583. sz. Versus ad Caroìuui Rftji'ui. 3 IbM. vv. tC3-66. 
4 rbUI. vv. 160-74. 5 Ibid. itt2, v\ . 63 sj:» ^ CapiMli, op. e, 03. sjr. cfr. MùUcr De re metr.^ ajìp. 
1 hwM. lat. I, :ìO-3I. 



- 14 — 

Da questi versi si vede che Paolo aveva diretta a Carlo un'altra 
epistola, che noi non conosciamo. Nella stessa poesia aveva egli 
cantato gloria a Dio, perchè a lui post tentìbras fecit cojnoscere lumen, 
e Carlo lo ringrazia, perchè tetro mosrore relieto, * gli ha pro- 
messo di pregare per lui. Ma la seconda parte di questo carme, 
osserva il Prof. Capetti, * non ò ben collegata con la prima, perchè 
in essa si propongono enigmi, di cui non e' 6 nessun cenno in 
quella. 11 re gli muove rimprovero, perche non gli ha risposto a 
tre quesiti, e ne propone un altro, al quale, se non risponde, scelga 
urfo di questi tre supplizìi: o portare gravi catene, o andare a 
predicar la fede e battezzare Sigfrido, feroce re dei Danesi, o 
marcire in un carcere. L' esagerazione della pena, sproporzionata 
al delitto, mi fa credere più ancora che qui trattasi di scherzo, 
checche ne voglia congetturare altri, come meglio vedremo. 

Infine propone qucst' enigma : 

€ Tange caput, suspecta manus popcurrat ad aupem: 
Altera jam tcnerum lesti net tjn^ere vontrcm, 
Nec non per tcmos consupgat littora ramos. » 

E Paolo risponde: 

Versus Pauli miss! ad regem. — Sic ego smcepi, ' — Dopo aver 
letto luminibìis tacitis il minaccioso carme di Carlo, dicesi atterrito 
dalle forila verba; l'animo suo ò agitato fra la scelta del triplice 
supplizio (optio supplica trini) e la difficoltà dell' enigma. Ciò pre- 
messo, si volge ad esprimere a Carlo il grande amore che gli 
porta, per cui non bisognano nò prigioni né catene per indurlo a 
fare la volontà del re; è tanto l'amore, che, si parva licei rebus 
componere magnis, può paragonarsi a quello di Pietro per G. Cristo, 
dopo che questi gli ebbe rimesso il fallo; e compiendo in so la 
similitudine, dice: 

« Sic ubi donasti facinu^, pietatij^ amatop, 
hitlanimat validus cor mihi vestcr amor. » 

Quale sia il facinus rimesso da Carlo lo vedremo in seguito. 
Ma, prima di risolvere 1' enigma, egli scherza un po' intorno a 
Sigfrido: « Se io volessi vedere il truce Sigfrido, che utile potrei 



i Tratlaiulu la viia del poula, vecireuio qual' v il moerorr. i op. e, 01 3 PuOl. 
Ut., I, 51-53. 



— 15 — 

Hvcme? egli non sa di latino nò io conosco la sua lingua e da quei 

barbari sarei creduto una scimia o un setoloso animale e la mia 

testa rasa sarebbe da loro derisa. » Ma senti come sa trarre profitto 

da ciò per blandire Carlo : « Sigfrido, se conoscerà che io sono 

tuo suddito, non ardirà toccarmi neppure con un dito, ma non si 

lascerà da me battezzare. Piuttosto egli venga a baciare i tuoi piedi. » 

Ecco la soluzione dell' enigma : La lettera che deve consorgere 
per tre rami è cave; poiché la prima sillaba è quella di cafpiit) 

e spiega il taìige caput; la seconda è formata da av o aufres) e 

spiega suspecta manus percut^rat ad aurem; la terza ve è T iniziale 

di ventrem e spiega altera jam tenerum festìaet tangere ventrem. 

Questa è la soluzione letterale. Ma Paolo vede, mi pare, in quel 

cave un avviso a stare in guardia da Sigfrido, sebbene egli non lo 

esprima : * vede in quel cxive un altro avviso, eh' egli cosi esprime : 

Litt>3ra qiiae tornis consuri^it in ardua rainis. 
Curam animac summam sempcr liaborc monet. 



Ut moneop faciam nec per rno frena ref^oiitur, 
lam mea scd potine caulio Chri-staìi cnt 

Ma a quest' ultima soluzione precede un' altra aulica dei primi 
due versi dell' enigma : Tangere caput che altro è se non amare 
Carlo? Perciirrat ad aurem: V aurem è per Paolo chi è ubbidiente 
ai cenni del re. Tangere ventrem designa tutto il volgo soggetto a 
Carlo. Queste le soluzioni dell'enigma: quali congetture poi ne 
traggano gli storici, lo vedremo meglio in seguito. 

Pietro da Pisa dirige a nome di Carlo M. quarantacinque esametri 
a Paolo : Lumine purpureo *. Questo carme constai di due parti : 
contiene nella sua prima parte (vv. 1-28) un indovinello, indirizzato 
a Paolo per ordine del re; nella seconda (vv. 27-45) altri quesiti, 
che Pietro propone in suo nome. A questi Paolo rispose brevemente 
nel n. XVI (lam puto nervosis); a quello, conforme alla domanda; 
più minutamente nel n. XVIII (Candidolum bifido)^ che è destinato 
al re. ^ Pietro, nella seconda parte della citata poesia (Lumine 
purpureo)^ aveva voluto avvertire Paolo in forma enigmatica di 
non essere arrabbiato denigratore di un suo confratello e di non esser 
superbo. Quest' accusa provoca da Paolo un' aspra risposta, nella 
quale egli rinfaccia a lui quella stessa accusa. 



1 Questa é anche l'opinione del Prof. Capelli, op. e. Si. i Pori. lai. I, 51-51. 
3 N. A. XVJI fl891;, 398. Il Dùiuiuler qui indica coi numeri romani il pusto di:lle poesie 
ii«lla sua raccolta. 



— u\ — 

12. Versus Paul! DlaQoni contra Petrum — lam pitto nervosls, * — 
« Desine dice Paolo, la superbia non attecchisce nel mio ospizio, 
non vuole visitare un' umile mente, tu inclito e potente guardati da 
questa peste, cave!» Questo possiamo ricavare, l'altro, confesso, è 
abbastanza oscuro. Questa che se;^ue ò la risposta alla prima parte 
di Lumine purpureo, 

13. Versus Paull ad Petrnm. — CandUlolum bifido. ^ — Pietro aveva 
detto d'aver ricevuto 1' enigma da un bel giovano, cioè da Carlo; 
e Paolo, dopo un po' di proemio^ rappresentando la felicità del colono, 
che vede prosperare i suoi campi sotto la bella luce del sole, e 
r infelicit:\ di colui, che vede rovinare le sue fatiche sotto l' im- 
perversare della tempesta, dice: « Oh! se questo giovane, che tu dici 
scherzare con te, si de;^nasse di toccarmi il collo od il piede, io vorrei 
riempire di dolci noto le sclv^e. » L'enigma i)ropo8togli è questo: 

« Dal gcuitor genit) quoJ se non sentii habere, 
Nec quamquam in genitore potes cognoscere, lector, 
QuoJ praobuit firmo nascente pectore proli. » 

E Paolo non ne dà una soluzione, ma più. ^ « Non un solo geni- 
tore, - egli dice, - dà al figlio quello che egli sa di non avere, poiché 
il maschio di alla prole sesso femminile. » E continua 1' esemplifi- 
cazione : « Cosi un padre privo di naso dà un figlio nasuto ; un padre 
mutilato genera un figlio integro; un animale senza coma ne genera 
uno cornuto; uno senza coda dà al figlio una coda insigne. Ciò 
avviene di tutti i viventi in mare, in t3rra, nei fiumi e negli sta- 
gni. » Spiegato r enigma sì piglia giuoco di Pietro, che atteg- 
giandosi a maestro, gli aveva imposto d' imparare la soluzione, ove 
mai non l'avcise trovata; e questo vanitoso egli frizza, para- 
gonandolo agli antichi vati e proponendogli un nuovo enigma: 

€ Aeternus incassum certans si forte cucurri, 
Cum piotate doce flexum, sum se ire paratus. 
Vati bus antiquis parva haec dissolve non impar: 
Die, rouo, quia gonitor cunctis det pectus in orbe, 
Scu virtute carens ingenti robore natum 
Procreat egregium, nullus cui siatere contra 
Pracvaleat raundiquo simul quem rogna paviscant. » 



1 Poet. lai. I, 3&. S) Ibid. 55-6. 

3 Unua non geniior è nella risposta di Paolo, ma il Capetti (op. e. 98 n. 1) interpreta : 
« yon unus genicor; alìoquin sensu carerei versus ; non unum enlm sed multa refert esempla. 
Poterai absona slructura vitari scribendo: Non unus genitor^ sed oraculi more, loco voces 
interdiini deicinntur. Si unus non 'jenitor cs>si't tantum pater andrug>ni, non sequerctur ila 
ili siibNeqiienlihus. * 



— 17 — 

Il Dahn ritiene che « erroneamente si prese questa poesia come 
risposta a Lumine purpureo di Pietro, mentre questa risposta fu 
più tardi trovata nella poesia lam puto nervosis ».* Ma noi abbiamo 
già risposto a questa sua opinione, distinguendo con Dtimmler la 
poesia di Pietro in due parti. 

Il Dalm trova piuttosto nella seguente la risposta, sol perchè 
questa comincia con una descrizione del giorno simile a quella di 
Pietro '. 

14. Versus Paull missi ad regem. — Ct/nthius occiduas. — A pro- 
posito di questa poesia il Capetti * dice che qui per continua me- 
tafora si scherza sopra le infocate saette del re, cioè delle finte 
dispute, come era costume allora. Il Pottliast * nota che questa è 
« Antwort auf cine Botschaft Karls iiber eiuen Wet-kampf mit Petrus 
von Pisa». Ma a mz pare che questa poesia ò anch' essa una ri- 
sposta airaltra Lumine purpureo^ come lam puto nervosù e Can- 
didolum bifido: perchè era ben naturale che Paolo si risentisse delP in- 
giuria fattagli da Pietro, e a questa rispondesse con latn puto ecc. : 
che poi si rivolgesse al re lamentandosi dell' impertinenza di Pi<».tro 
antiquo et caro quondam sodale^ il quale ad ora tarda gli aveva 
mandate infocate saette, onde per la brevità del tempo non aveva 
potuto bene difendersi, ma pigliarsi la rivincita il giorno seguente; 
che in ultimo rispondesse direttamente a Pietro dandogli la spie- 
gazione dell' enigma propostogli. Sicché, a mio parere, i citati 
carmi segnati coi numeri XV^ XVI, XVII;, XVII I sono tra loro 
intimamente connessi. — Fin qui le relazioni di Paolo con Carlo 
durante la sua dimora a corte. Ma, tornato in Italia verso il 787, 
come vedremo, continuano più affettuose le relazioni tra gli amici 
lontani, e Carlo fa scrivere a Paolo dolcissimi versi : Christe Pater 
mundi *; sebbene le risposte di costui, certo non meno sentimentali, 
non siano da noi conosciute. 

Paolo, tornato a Montecassino, attese alla composizione dell' O- 
miliario, ordinatogli da Carlo, ® e, compitolo, glielo mandò in Francia, 
accompagnandolo coi versi: 

15. Ampia mihi vostro^ ' — in cui chiama Carlo pietatis amator^ 
difensore e padre dei cristiani, e con umiltà tutta sua gli ofifre l'opera. 



1 Dahn, op. e, 54. 2 Ihid. 3 Op. e. ^7. i liihliolh, hisi. m. nevi. lì Peni. lai. ì, 69. 
6 II Dahn fop. e. 54 v-M sostieni* quosla opinione. Cfr. A. Halli in Rcnd. ht. Lomb, 
n, S^r. XXXIII (l»00), ÌHì. 7 iWl. lai. I. 6H-9. 



— 18 — 

» 

Il Capetti ' vorrebbe che questi versi siano stati composti in Francia, 
sol perchè Carlo nel dare V incarico a Paolo 1' aveva chiamato 
familiaris clientulus. Ma da queste parole non si può argomentare 
altro, se non che Paolo aveva ricevuto V ordine mentr' era fami- 
liaris clientulus di Carlo in Francia. Valgano a conferma di questa 
opinione, i versi: 

« En jutus patpis Bencdicti mira patrantis 
Auxiiio ineritisquo piis, vestriquc lideiis 
Abbatìs dominique mei »; 

nei quali si sente Paolo vicino al suo S. Benedetto e sotto la guida 
del suo amatissimo abate Teodemaro (a. 778-797). Precede questi 
versi la dedica in un distico: 

16. « Summo apici regum regi dominoquc potenti 

Dat famulus supplex verba legenda tuus». 

e seguono ciuesti altri : 

17. rf4're fdix raunere Christì 
Pluribus annis luxquc decusciuc 
Piagne Xuorum, Carole princeps, 
At(iue togatae arbitcr orbis 
Dardauidaoque gloria gentis - 

Fin qui le poesie auliche ed enigmatiche. 



1 Op. e, «J, 2 Sostiene l'aulonUcìla di questi versi col distico il I)ahn (op. e, 3i). 

Cfr. WalU Scrip. rer. htm/., p. ««; lallV, Mon. Carolina, Beri. 18G" p. 374; Poft. lai. I, 08-9; 
Wlegand Das Homiì. Karìs dfs Grossm, Lipsia, 1837, pp. 14-16; cfr. p. 10. Dal lesionarlo di 
Monza, sec. Vili, tolse il distico il Fri^i Memorie storiche di Monza, III (17ttl), p. ìTìi-l^. 



-•-js-4è^i>»-«^-«^ 



— VJ — 



3.^ 



POESIE DI VARIO ARGOMENTO 



Anima gentilissima e assai impressionabile si mostra Paolo 
nelle poesie che ora espongo. 

18. Versus in laude LariI laci. — Ordiar unde ticas. * — Questi 
versi^ che il Dahn ' per fatili argomenti nega a Paolo, sono oramai 
accettati universalmente dai critici. ' Il poeta è cosi colpito dalle 
bellezze naturali, che gli si spiegano allo sguardo, che egli stesso 
non sa a quale dare la preferenza: 



«Ordiar un:le tuas landcs o maxime Lari? 
Muniiicas dotes ordiar unde tuas?» 



Ci presenta viva la configurazione di questo lago con i suoi 
due rami eh' egli rassomiglia a taurine corna: 

« Cornuti panda libi sunt instar vertice tauri 
Daiit quoque sic nomjn cornua panda tibi ». 

Ne celebra V eterna primavera, le ripe infoscate d' olivi ; il 
melagrano che imporpora gli orti; il profumo del cedro. A petto 
di essa cede in bellezza il furvuì Avernus^ il lago d' Epiro, la vitrea 
onda del Fucino, il potente Lucrino. Ma al pensiero del monaco 
si presenta l'idea, che, se quel lago fosse stato calcato dalle piante 
del Redentore, sarebbe certamente superiore a tutti. Chiude con la 
preghiera che non sommerga più navi né uomini, se vuol essere 
da tutti e sempre lodato; si dice infine gloria alla SS. Trinità. * 

Queir anima, che sentiva così profondamente la natura, non 
poteva restare insensibile alle sciagure dei suoi; e perciò essa rimase 



1 PcMl. lai. J, 42-3. 2 op. e. p. 65 sg. 3 Dùmndor, PoPt. lai. I, 27. e N. A. XVII, 330. 
Traubo, Texlgesch. d^r Rc-ih S. Jioiwd. 4i; Abhandl. der bavcr Akad., 3 ri. XXI, 3,618. De 
Sani! in Civ. Catt,, quad. 19 Map. 1900. Capetti, op. e, 78-9; Ebort, AVgenicìne Gesch.,. II, e. 1 

4 Vedi bellr.ssiina Iraduzioiie ilal. In Atti e Man. ecc. 109. 



— 20 — 

molto scossa p.-^r V imnri^ionamonto del fratello, che aveva preso 
parte ad una congiura contro Carlo. El a questo egli scrisse una 
tenerissima supplica in distici per la liberazione di quello. 

19. Versus Pauli aJ Ragsm precando. — Verba tai famuli, * — 
Qui Paolo usa tutte le espressioni, tutti i mezzi, che V arte, V affetto 
fraterno gli suggeriscono per commuovere Carlo. Il profondo dolore 
per la lunga prigionia; la miseria del fratello e le sue 8offerenz9 
in terra straniera, lo stato miserando della costui moglie, che per 
campare gli affamati figliuoletti, cui a stento può coprire con pochi 
cenn, mendica perle piazze e per le vie; una sorella, consacratasi 
a Cristo, fin dai primi anni, che ha perduti quasi gli 03chi pel 
lungo piangere; il patrimonio domestico dissipato; la nobiltà antica 
perita; tutti questi sono gli argomenti ch'egli adopera a com- 
muovere il re e con tant' arte eh' è uno strazio. Ma non meno 
profondamente lo commuovo la morte della nipote Sofia, di cui 
compose questo epitaffio : 

20. Epitaphiun Sophlae neptis. — Ryscid% de lacrimis.^ — Con 
commoventi espressioni e dolci versi il poeta piange la bontà, la 
l)ellezza, V assennatezza della vergine, che muore mentre è per 
passare a nozze e già sorrido allo zio la speranza di un nipotino; 
ma invece del talamo debbono apprestarle la tomba: 



«Ilei inilii ])P0 thalamo iledìmus, virgo, sepulchrum! 
Vro l:i0.1is iiiiserum fuaerijs ollìcium. » 



Da questo amaro contrasto il poetii sa cavare flebili note e lo 
chiude non già con la solita preghiera, ma con bellissima similitudine : 

€ Gemmant'im v'aera docoxit sacva pruina, 
Puppuri5ain(iu3 tulìt dira procalla posam»: 

la (|uale ci rivela sempre più profondo il sentimento della natura 
in lui. Un altro epitaffio egli compose per Venanzio Fortunato: 

21. Epitaphium Fortunati Epissopi. — Ingenio cìarus sensu celer. * — 

Questo ci fa vedere in quanta venerazione egli avesse quel poeta, 

della cui vita si occupa in un capitolo della Ilistoria Lang. (II, 13) nel 



I Pool lai. I, H-W; v. Traflu/. i:> M-uinrif POC 2 Ibid. I, 16-7; v. Tradux. in Me 
•0Orir ccf. 101 3 Ihi'I. I, 16-7; v. Trai., I. e. 110. i Ibil. 56-7. \Vd. Trad. I. f., III. 



— 21 — 

quale determina Toccasìone dell' epitaffio, dicendo che, recatosi a 
Poitiers (dove Venanzio era stato vescovo e dove era sepolto) ap- 
punto per pregare sulla sua tomba, fu pregato da Apro, abate di 
quel luogo, a comporre quest' epitaffio. * 

Sine tltulo. — Angu'if^e vitae fajiunt, ^ — Questi distici senza 
titolo non sappiamo a chi Paolo gli abbia indirizzati. Il poeta cerca 
di scusarsi se manda incidtn poHmata^ perchè le muse anguMae vifnti 
fagiunt consortia nò vogliono abìt:xre nella solitudine del chiostro, 
ma amano piuttosto per rosulenta .... ludere prata^ fuggono h% 
povertà ed amano le delizie. Si protesta pieno d' amore per la 
persona, a cui manda i versi, e che con essa vuol raggiungere la 
vita etorna. E conchiudc: 

« Anto potest flavos Rhenus repedare Siiavos 
Ad fontem et versis pargere Tibris aquis, 

Quam tuus e nostro labatur pectore vultus. 
Ore colende mihi tempus in omne pater! » 

Questa chiusa è simile a quest'altra: 

23. Ante suos refluiis Khonus rcpedabit ad ortus 
Ante pctet fontem clara Mosella suum, 

Quam tuus e nostro carum ac memorabile semper 
Dulce, Adalard, nomen pectore cedat amor. 

Tu quoque, si felix vigeas de munerc Christi^ 
Esto memor Pauli tempus in omne tui. » ^ 

I quali versi sono aggiunti ad una epistola all'abate Adalardo, 
che Paolo gli scrisse mentre stava in Francia. Orbene la somi- 
glianza notata fra le due chiuse, mi induce a supporre che anche 
i versi: AngUstae vitae siano diretti allo stesso Adalardo. Ma donde 
vengono questi? L'accenno al chiostro, alla povertà del monaco, 
se ben m' appongo, la professione d' amore ardente, proprio di 
persone lontane, per V anonimo, mi fanno credere che Paolo abbia 
scritto questi versi, tornato alla disciplina monastica in Montecassino. 



1 < Ad cuiiis ego tumulum cum iliuc orationis gratin adventassem hoc epilhaphium, 
rogatus ah Apro eiusdom loci ahhalo, scrìbondum contpxui. 

« Poèl. lai. I, Ì3-Ì5. 3 Ibid. 6i; SS. Rcr. Lang., 21; M. G. 11. Episl, IV, 509. 



- 22 — 

24. lam fiuebat decima. * — Sono tre esametri aggiunti ali* e- 
piatola a Teodemaro ab. cassinese. 

Ma Tattività poetica di Paolo, quantunque si fosse esplicata in 
date occasioni, pure ha cercato di manifestarsi in modi varii. Paolo 
ha dato prova della plasticità del suo ingegno^ trattando anche la 
favola in distici; e noi abbiamo tre favole. 

25. Sine titolo. — Aegrum fama fuit. * — Questa^ eh' è la più 
lunga, è anche la piìi bella delle tre. È la nota favola del leone 
malato cui vanno a visitare tutti gli animali ; solo manca la volpe, 
eh' 6 perciò accusata dall'orso (qui non dal lupo) ; e già le è stata 
decretata la morte, quando si vede arrivare tutta affannata con 
molte scarpe sdrucite sulle spalle, in vista la più accorata, in atto 
cosi ridicolo da muovere a riso tutti^ perfino il grave re. Dice di 
essere andata pel medico e che ne ha ricevuta questa ricetta: — 
i^e il re vuol guarire scortichi l'orso e ne indossi la pelle ancora 
calda. — Subito fatto. E l'astuta, gongolante e burlandosi di questo 
sciagurato gli dice: 

« Quis dedit, arse pater, capite hanc gcstare tyaram 
Et maiiicas vestris quis dedit has manibusf » 

La favola ha certo qualche intento morale e Paolo lo fa rile- 
vare a Carlo ^ conchiudendo: 

« Parvus humilis scpvqs tuus hos versus ad te raittit, 
Fabula quid possi t ista require, valeas ». 

26. Fabula de vltulo et clconia. — Quaerebat moerens matrem. * — 
11 vitello da tre giorni non piglia latte^ e mentre se ne lamenta, 
s' imbatte nella cicogna, la quale cerca di confortarlo col suo 
esempio, poiché da un anno essa non lo prende più. E quello sde- 
gnato risponde: 

« Quo sis pasta cibo en tua crura docent ». 



1 PoOl. lat., I, 59; Wailr, SS. Rer. Lang. 17; M. G. H. Ep. JV, 3tt8. « Ibid. I, Ci-i. 
3 Io ritenf;o col Dùmmler che Ja favola sia diretta a Carlo, ne dissente il Capeui (np. e. p. 99. 
n. 1), che la vorrebbe indirizzata ad un amico di corte. Ma noi che abbiamo visto quanto Paolo 
ffksse intimo di Carlo, crediamo ben naturale eh' egli lo mettesse in guardia contro le calunnie 
dei cortigiani con questa favola. i Poèt. lai., 1, CI. 

3 



— 23 — 

27. Fabula podagrae et pulicis. — Temporibuè prùcis. ^ — £ la 
terza favola di Paolo, intomo alla podagra ed alla pulce, che da 
buone amiche si scambiano T alloggio. 

28. Inoipiunt versus de episcopis Metteasis civitatis. — Qui sacra 
vivaci. ' — È un elenco piuttosto arido della successione dei Vescovi 
di Metz; in cui il poeta sfoggia in arzigogoli sul significato dei 
nomi propri, dei quali ognuno denota speciali virtù deir individuo 
che lo portava. 

29. De speciebus. praeteriti porfectl. — Adsunt quatuor, ^ — In 
questo ritmo alfabetico, diviso in tante strofe tristiche di tetra- 
metri trocaici, quante sono le lettere dell' alfabeto, manifestamente 
per rendere agevole la grammatica agli alunni. Paolo espone di- 
verse formazioni del verbo latino nelle quattro forme fondamentali. 

30. Pulchrior me nullus. Il Diimmler cosi parla della scoperta 
di questo brindisi: « In dem zu Ehren Useners gedrukten Tiroci- 
nium philologicum des Bonner Seminars (Berolini 1883) theilt 
P. Brand S. 133 in Anschluss an cine antike R&thselsammlung ein 
bisher unbekanntcs mittelaltcrliches Rilthsel mit, das folgendermassen 
lautet : 



IDEM DE VINO 



Pnlcliriop me nullus versatur in poculis unquam, 
Ast ego ppimatum in omnibus teneo solus, 
Viribus atque meis possum decipore muUos, 
I^ges atque iura per me vìrtutes amittant 
Vario me si quis hauri{pej voluerit usu, 
-^tupebit ingenti mea percussus Mrtute. 



E continua poi a dimostrare che quest' acrostico è di Paolo Dia- 
cono e non di altrt *, Esso però non è contenuto nella raccolta dei 
Poè'tae latini. 



1 Poét. lat. I, 61. 8 Ibid. 60-t. M. G. H. SS. Ili (188tj 303-63. Suir attribuzione a Paolo 
cf. Belhmami, Arch. X, «94. 3 Poft. lai. I, 6i8; cfr. Povl. lai. H, 698; P. Lcjjay, Rev. de 
phil. de un. et d' hisloire ancienne XVIH, 42, descrive il Codice della Bibliol. Nai. di Parigi 
7530, e r attribuisce al 778 o 779. Il ms. proviene da Montecassino, il che rincalza V opinione che 
di questo carme Tu autore Paolo Diacono. Gir. Bloch in N. A. X\ (1895) p. S36. 4 N. A. X, 165. 



— 24 — 

Da qnesta esposizione si vede che le poesìe sono tutte occasionate 
da speciali circostanze della vita di Paolo. Ce n' è di ogni genere 
come nelle dubbie, ce n' è di sacre e di profane, in minor numero 
però quelle che queste, mentre nelle dubbie prevalgono gli argomenti 
sacri; sono inni^ epitaffi, soluzioni di enigmi e lodi tributate a po- 
tenti principi ; favole con intento satirico. Il poeta insomma si mostra 
ecclesiastico, monaco, uomo di corte. Ma, quando, come e perchè 
egli subisse tante vicende lo vedremo appresso. Per ora possiamo 
dire in generale che, dati questi caratteri comuni alle poesie dubbie 
ed alle certe, potrebbero anche quelle attribuirsi a Paolo Diacono. 




IH. 



LO STiLE NELLE POESIE DUBBIE 



I. Collocazione delle parole*: 

a) Collocazione delV aggettivo e del genitico attributivo. 

Multicolor quali specie per mibila fiilgit Iris ; Terribilis 

vultus (XLVl) — Felix pulcherrima vir^o; quae lapsum casto 
reparasti viscere raundum fXLVII) — Tenebras illusi rans de- 
tegis atras; ne gravis impediat mortis caligine somnus; iusio 
sub judice Christo (XLIXj — Romanus blando quantum flagravit 
amore; patriae tegmen; tanto spoliata senatu; tristes stant 
acies (L) — Ad perennis vitae fonteni et amoena pascua ; 
mortis subire discrimina; dignis semper studiosus occupatur 
actibus; exit et activae vitae interdum ad spatia; carnis prae- 
parat subsidia; ferculorum alimentis (LI) — Aquarmn meis 
quis det fontem oculis; orilium septa sacrorum; divinai 
legis abdita mysteria; ieiunis mentibus; sagaci spiritu; vitae 
nostrae sol; donorum carismata; dare laxis curant, heu prò 
dolor, cingula lumbis; tramitem rectum (Lll) — Divini falce 



1 I numeri Romani, che s' incontrano, indicano il numero d* ordine delle poesìe contenute 
nei PoOt. lai. J, 33-86. 



— -'<> — 

limoris; lucu^enla per horrea; ne male duratae spernaat pia 
germina glebae; corporeos gressus; darà tibi ostentant Mar- 
tini exempla beati (LUI) — Lctxis resonare flbris; celso veniens 
Olympo; vitae seriem; promptae modulus loquelae, abstruso 
positus cubili; ne levi sdiìiim maculare famine posses (LIV) — 
Quis possit ampio famine praepotens; velernae sub laqueo 
necis; superilo germine; pì^ofundo vulnere; mortis crimine; vir- 
ginalis vincula permanent, prodit pudoris dum thalamo potens 
(LV) — Gen tem crudelem; Attila saevissimus; turribus altis; 
civitas nobdium; rusticorum speleum (Ad flendos tuos) — 
Dulcis amice; Acteonis mors; nox atra; darà coloris aqua; 
(/raton^/ suscipe mente; p^rp^fwi^s non claudat lumina somnus; 
praeda cruenta canum (XXXI) — Haec domus est Domini; 
sacri janua regni; mitis enim pater est (XXXII) — Hoc satus 
in viridi servatur flosculus arvo; allipotens veniat per saecula 
judex; ostrifluas falce perenne rosas; purpureis vaccinia cincta 
rosetis; vulnifìco fodiit corda mucrone pa^r/s; goleata falanx; 
perpetuus milis. (XXXIX) — Olim Romulea sanctus qui mansit 
in urbe Gregorius; prisci cecinere poétae; effera corda; legis 
dogma docendo sacrae; insignis Carolus romanum pangere 
Carmen; jejuni tempus — Pe>*peti dona gloriae corona; totis 
venerantur votis; urbem vastat opulentam; Samniam justa 
vere luculentam (Alartir Mercuri) — Sanctorum coetus; 
classis meda daemoniorum; regna poh; amoris animus; poli 
facies ecc. (Sponsa decora Bei). — 

Da quest' analisi si vede che non in tutte le poesie si osserva la 
stessa regola nella collocazione delle parole; in alcune quasi costante- 
mente r aggettivo attributivo è anteposto e separato con una o più 
parole dal suo sostantivo, e la stessa legge segue air incirca il ge- 
nitivo attributivo; in altre invece, se l'aggettivo o il genitivo sta 
davanti al sostantivo, non è però separato da questo; in altre ancora 
non si è notato nulla di ciò. 

b) La collocazione dei pronomi non segue una legge co- 
stante, come neppure quella degli avverbi. 

e) Si nota qua e là qualche anafora: Nil in olfactu, nil in 
gustu, nil peccat in actibus (LI); qualche chiasmo: Cum moe- 
rentibus tr ist aiur, deplorai cwm /le?itibus(LÌ)j nrbs heu regum, 
pauperuid tugurium^ magni patres praesules egregii (Ad 



— ^>1 



flendos tuos); qualche parallelismo: Miscens asperis fomenta 
iristibusqiùe mitia (LI) ecc. 

2. Sostantivi. Protectio * (XLVIII) — Tegmen, amator, 
auctor, moderamen, arma (obi. sing.) (L) — Pascua ', zelus * 
(LI) — Lychnus *, altissimus=Z)^ws, perditio, inquilinus, medella % 
iuvamen (LII) — Larapas (LUI) — Famen, tegimen, stroflumS cre- 
mentum \ sator et redemptor (LIV) — Famen, celydrus, sator, 
piaclum=cw/pflf, nuntium* (LV) — Posteritas (Quidfatis) — Boni- 
tas, piada (XXXII) — Milis, daps, stemma, gaza ', christicolae, 
genitor, genitrix (XXXIX) — Gehenna *^ zelus, indignatio *', fì- 
delis = cristiano *' (Ad flendos tuos) — Dogma, contemptìo = con- 
tendo (Olim Romulea) — Germana-soror [Sponsa decora Dei), 

3. AgfgettlvL Multicolor (XLVI) — Cunctus= ownes; 
perpes *' (XLIX) — Armipotens, sobrius (L) — Pestifer, carneus •* 
(LI) — Dominicus ", sagax ** (LII) — Praedura (superi.)^ lu- 
culentus '' (LUI) — Centenus, sacer (sost.), praepotens (superLj 
(LIV) — Caelebs, veternus, supernus, terrigenum, cunctum = 
totum, cuncta = omnia, vlrginalis " (LV) — Gratans = //6e/is •* 
(XXXI) — Sacer = sanc^^s. (XXXII) — AUipotens, ostrifluus, 
imbrifluus, ensipotons, altithronus, parilis *^ lacrimabilis *', ver- 
nalis " (XXXIX) — Bellus a, um, roparabilis *^ niveus ^*, sagax** 
(Ad flendos tuos) — Romuleus, sacer, sacratus, cunctus - totus 
victricia ** signa (Oli)n Romulea). 

4. Verbi. Fulgit, nitit (XLVI^ — Reparare... munduni 
(XLVII) — Reteatare (LI) — Quaesitare (LVI) — Refulgit, 
nitit, rubit (XXXIX) — Captivare ^^ [Ad flendos tuos), Mul- 
cit [Olim Romulea) — Vigit (Quid fatis Uceat) — Consolari 
[passivo) -* [Martir Mercuri) — Quaesitare, densare [Sjìonsa 
decora Dei). 



1 Rflnsrh, Itolo und Vuhjntit, TI. 2 IbiJ. 101. 3 HiMnncccius, Fundamenla stili 

adtioris, Neapoli 1860, p. 44. 4 Vossius Ger. Io., De vitiis sermonis latini. 5 RODSch^ 
op. e. 460. 6 Vossius, op. e, 7 Rdnsch, op. e, «4. 8 Ibld., 104. 

9 ROnsch, op. e, 401. 10 Ihid. 856. 11 Ibkl. 3i9. li Ibid., 332. 13 Ibfd., 121. 
14 Pauckor, Materialien u. s. w., 106. 15 Rflnsch., op. e, 467. 16 Paiickcr, op. e, 45. 
17 Ibid., «1. 18 Ibid., 47. 19 ROnsch, op. e, 153. 20 Pauckor, op. e, 67. 21 Ibid. 88. 
22 ROnsch, op. e, 120. 23 Paurker, op. e, 61. 2i Ibid., 108. 25 Cfr. n. 16. 26 Paucker, 
op. e, 28; cfr. Ronca, Cultura Madiecalc, 1, 300. 27 Rflnsch, op. e. ICi. 28 Ibid. 300, 388. 



- 28 — 

5. Pronomi. Utrasque (XXXIX) — Proprius = sutcs 
{frequente), Qi\ìsq\\e = qmcumqtie^; quanti.... i3Lntì = quot...tot ^ 
(LI) — Quisque = singuU {Sponsa decora Dei) — Quisque - qui- 
cumque (Olim Romulea). 

6. Avverbi. Dignanter^ iugiter *. (XLIX) — Amariter, 
aequaliter (LI) — lugiter (LII) — Strictim * (LUI) — Saltini \ 
(LIV)— Gratanter' (XXXIJ — Inante* (XXXIX)— Forin- 
secus ', circumquaque {Ad flendos tuos) — Ab inde {Sponsa 
decora Dei.) 

7. Preposizioni. Sub = ìzi = coram »' (XLIX) — Ad 
instar ** (LII) — Frequente è V uso di de per ex e ab: Lumen de 
lumine profers (XLIX) — Parvo de semine verbi *' (LUI). — 
Non vi sono altri particolari usi da annoverare qui; ne vedremo 
parlando dell' uso dei casi. 

8. Uso del casi. Per lignura, invece del semplice ablativo 
di mezzo " (XLVIIl) — In aevum, per omne tempus [frequenti) »*. 
De vomere verbi , per /' ablativo ** (LUI). Celso veniens 
Olympo = a celso.... '^ Abstruso positus cubili == in abstruso *'. 
(LIV) — Clara color is aqua, genitivo per V ablativo di limita- 
zione *' (XXXI). — In Cesarea = Cesareae ^^ [Martir Mercm^i). 
Homo pietatis, // genitivo di qualità non è usato regolarmente ^^ 
[Olim Romidea), — Natorum medio oltre che manca la pre- 
posizione^ si noti medio adoperato come sostantioo ^*( L). Petit 
alta... coeli, anche qui alta è usato come sosta?itivo. [Sponsa 
decora Dei) 

9 Uso del Verbi. La sintassi del verbo è generalmente 
regolare. Il participio presente è si)esso usato a determinare 
Fazione del verbo di modo finito ", spesso come aggettivo. 
L' abl. assoluto è sempre usato regolarmente, né mi è capitato 



1 ROnsch. 306, S Ibid. 336-7. 3 Hìid., 153. 4 Ibid., 130. 5 Paucker, op. e, 13i. 
6 Ibid. 7 ROnsch, op. e, 153. 8 Ibid., S53. 9 Ibid., 230. ìf) Ibid., 307. 11 WOllflin, 
Archiv. ecc., VI, 197. 18 Rònscfi, op. e. 395. 13 Dràger, Historisch. Syntax, I, 603-4; Coc- 
cbia, Sintassi Latina, 168 § 77. 13 Dràger, I, 603, 655. li Ibid., 630, 7 d. 15 Ibid., 497. 
16 Ibid., 647 d; Cocchia, 185, 1. 17 Dràger, I, 5i«; Cocchia, 174, VII. 18 Dràger, I, 571 g «50. 
10 Ibid., 46J, 5; Cocchia, lil, IV. «I Dràger I, 54 d. ; Cocchia 45, § 31, ii. 3. iì Dràger, 
11, 788; Coccliiu276§ U7. 



— 29 — 

caso di nominativo assoluto, come suole accadere negli scrittori 
della decadenza. Rispetto all'uso del gerundio ablativo si noti 
che trovasi usato come il gerundio italiano bene spesso, cioè 
non solo in significato strumentale, ma anche modale e tem- 
porale come un participio presente'. Così abbiamo: Aliorum 
cuTdim geren^ postponendo propria m < LI) — Duos pueros fecit 
expansis manibus stando recare Deum; Alter e contra ecce 
p7^ecando ruit [Olirn Romulea). 

Per la costruzione di qualche verbo nota : De bonitate Dei 
cune ti confldite ' (XXXII) — Omnibus ecclesiis jussit ubiquc 
sacris ^ [Olim Romulea) — Fratribus enarrat qìJLod soror astra 
petat * [Sponsa decora Dei). Quest' uso di unire una proposi- 
zione alla principale con quody quia ecc.^ invece che con l'ac- 
cusativo e l'infinito, è comune negli scrittori della decadenza. 

Notisi in particolare l'uso delle congiunzioni in certi co- 
strutti: Si vivas, totum, dulcis amice, bibe; Si non Acteonis 
mors sit a cerva tibi; il quale costrutto, che si ripete ben dieci 
volte nella stessa poesia, sta per utinam e ite deprecativo *; 
cosi pure: Non dedigneris dicevo = Ne dedigneris ^ (XXXI). 

La struttura del periodo ò molto semplice ed ordinariamente 
esso si chiudo con la strofe e col distico; e, dove è adoperato 
r esametro sciolto^ quello non va oltre i quattro versi, Dair esame 
stilistico dunque, che finora abbiamo fatto, possiamo conchiudere 
che, dove più dove meno, si risentono gì' influssi grammaticali e 
lessicali del tempo. Onde, perchè queste poesie sono indipendenti 
runa dall'altra, la disuguaglianza di stile, ci può far risalire a 
diversità di autori. ì,la rimanga questo per ora un semplice sospetto. 



1 Ronca, Cultura ecc., I, 307; Dra^^er II, 8i6 sj?5?. ; Cocchia «73, § 126, avv. 1. 2 Dràgcr I, 

157, Cocchia 177, avv. 2. 3 Dràger 11, 288; ROnsch, i30; Cocchia, 153; Ronca, op. e, 303. 

4 Dragcrll, 92:»837»; R<\nsch, 402, i81 ; Cocchia, 401, a\\. 2, b; Ronca, op. e, 302. 5 ROnsch, 
403-5; Dragcr I, 5S2. f» Drà^or I, 312 a: Coccliia, 239. 




^i^mg^.é^g|;^pp^pppp^||Mg^ 





IV. 



LO STILE NELLE POESIE DI PAOLO DIACONO 



Lo studio stilistico nella prosa di Paolo Diacono fu ftitto egre- 
giamente da Carlo Neff, * col quale studio riusci a rivendicare a 

« 

Paolo il Compendio di Pompeo Festo. Questo medesimo studio sarà 
a me di guida in quello che verrò facendo sulle poesie. 

1. Collocazione delle parole: 

a) Collocazione degli aggettivi e del genitivo attributivo. 
Il Neflf* nota che gli aggettivi sono spessissimo separati con 
una o più parole dal loro sostantivo; e nella poesia si riscontra 
quasi sempre lo stesso latto. P. es: Babylonica donec populum 
vasta vit Israel captivitas; Ad hunc usque prima annum in quo 
est indictio (I) — Captivus vestris extunc germanus in oris 
Est meus, afflicto pectore, nudus^ ege^is; Quattuor hac turpi 
natos sustentat ab arte; Est mihi quae primis Christo sacrata 
sub annis (X) — Cynthius occidua^ rapidis declivus ad oras 
lam volitabat equis; Detulit ignìtas quasi puri muneris instar. 
Antiquo et 6*aro quondam mittente sodale, Intima et ventris 
penetrantes us(jue sagittas; Et spatiis paene est iam lux revoluta 



1 />• PrififO Dior. ITC. i II)Ì(I. p. ì 



— 31 — 

diurnis (XVII) — Il genitivo attributivo, osserva il Neff, e scru- 
polosamente anteposto al sostantivo *. P. es: Annorum curri- 
cula. (1) — Virtutum cumulos, pietatls furta ecc. (Il) — fin 
iutus patris Beìiedicti mira patrantis auxilio, Abbatis domi- 
niqite mei etsi iussa nequivi ecc. (XXXIV), 

b) Collocazione dei pronomi. Sebbene il NefF ' osservi che 
Paolo nella prosa per lo più antepone il pronome possessivo 
suus al sostantivo, non possiamo dire lo stesso per la jwesia, 
dove invece il pronome possessivo di qualunque persona e 
spesso posposto al sostantivo e separatone per mezzo di altre 
parole. P. es. : Ante suos refluus Rhenus repedabit ad ortus. Ante 
petet fontem clara Mosella suum. (XXVI) — Respice et affectum 
cum piotate meum; Privata est oculis jam prope flendo suis 
(X) ecc. 

e) Rispetto alla collocazione delle altre parole non possiamo 
dare leggi fisso. 

2. Sostantivi. Nella prosa di Paolo si trovano molti 
sostantivi in - tor ed in - /o ^j ma nella poesia abbondano quelli 
in - or ed in - nien, di questi alcuni per ragione metrica : 

Redemptor, ducior^dux {due volte) (Ij — Sessor ecc. (II) — 
Ostensor, rector, possessor (llJj — Structor, repara tor (VI) — 
Regna tor (VII) — Rector (X) — Amator (XIV, XXXIII, XXXI V)— 
Genitor (XVIII, XXIII) — Dilector fXXV) ecc. — Vocaraen, 
moderamen. (Il, XXVj — Flaraen (III, VI) — Culmen. (Vi) — 
Religamen (XVIIl) — Germen (XX, XXI] — Famen, solamen 
(XXXIII) ecc.— Indìctio (I) — Optio (XIV) — Resolutio, cautio 
(XlV). — Sostantivi di varia terminazione: Cymbia * (HI ed al- 
trove) — Diadema (XXI II) — Schema, dogma (XXV) — Ca- 
pulus * (II) — Puellula (XXIII) •— Virguncula (XXIV) — 
Diecula (XXVI) — Funus - mors (XXIV) — Supernus = Deus; 
Altissimus = Z)<?i^s (I) — Omnicreans (XXXIV) — Pestis = Dae- 
mon (li ed altr.) — Agape, promocondus, lechitus, psalmicen, 
ydrus, calybs (II III,) — Androgynos (XVIII) — Gramma 



1 Op. e, r>. 2 Ihid. 3 NelT. op. e, SS. i Vossii (Io. (ier.) De rilìit scrmonis 

lai., I, 17. 5 Ihid., 328. 






(XIV) — Hyronia (XII) — Problemma (XVf) — Pannucium » 
(X) — Logos; physis (XXXIIl) — Paradigma (XIV). 

Aggettivi. In generale diciamo che di qu^li aggettivi 
in -aWttó, --oritcSf -aris, -aliSy -osuSy [b)Uis^ Paolo non ne 
usò molti; invece fé' grande uso di aggettivi composti e con 
altri suffissi: Pestifer (II) — Muniflcus; regiflcus; olivifer (IV) — 
Splendiflcus (Vili) -^ Altisonus (XVIll) — Astriger* (XXI) — 
Armipotens; mellifluus (XXII) — Mellifluus; refluus (XXVI) — 
MaleOdus (XXVII) — Famulentus (XXVIII) — Rosulentus < 
(V). — Inoltre: Annalis {1} — Sacer = Sanctus] Suadus,rupeus * 
(II) — Phantasticus (III) — Nivalis (XVI) — Venerabilis ' (XIX) — 
Perpetualis', sacer - sacerdos (XXI) — Dapsilis*, herilis (XXll) — 
Moribunda, fluctuabunda (XXXIIl) — Invece di omnis è frequente 
cunetta, totuSy universus nella prosa, nella poesia il più fre- 
quente è cunctus. Così nelle frasi: Mortalibus abdita cunctis, poe- 
terà cunctay cunctis celeberrime saeclis, cuncta creantem, perflce 
cuncta (II) — Cuncta notavi (XIV) ecc. — Trovansi anche 
aggettivi sostantivati, come: florida mundi, ima gurgitis ' (II). 

Rispetto alla gradazione degli aggettimi oltreché ci sono 
superlativi formati con prae, come: Praecelsus (XXII) — Prae- 
potens (III) ecc., vi sono comparativi e superlativi formati con 
perifrasi, come: 7iimis apte (II) — nimium felix (XVIII, 
XXIV) — Fortis ad arma satis (XXI II) — Sagax nimium '® 
(XXXIV) ecc. 

4. Pronomi. Quosque = quos (V) — Quantas = quot 
(Vili) — Propri! = sui (XVIII) — Pater iste =.... i/fó, iste sacer 
Domini= ille... (XX) ecc. É frequente proprius per suus **. 

5. Verbi. Ricorrono spesso verbi frequentativi: Reten- 
tare (X) — Imperitare, pavitare (XIV) — Volitare (XXVIl) — 
Singultare (XVIII) — Vodtare (XXIII, XXV) ecc. Si notino queste 
forme: Tempnis= temnis (II) — Extiterìnt = fuerint (XXll) — 
Fulcibat ^. fulciebat (XXV) — Subdier = subdi (XXVIl). — 



1 Rdnsch, I2i. 2 Paucker, 28 s?^ ; Nefl*, 29; RAnsch 109, s??. 3 Ibìd., 71. 4 Pau- 
ckPr 91. 5 ibid. 108. 6 Ibul. 63. 7 Ihid. «0; Rùn»ch, 120. 8 RAnsch, 117. 

« N.'fr, S9. 10 Ibhl. 30. 11 NrlF, 27. 



•»•! 
.'>.> 



NÒ bisogna dimenticare forme di uso molto raro: Derider (XII) 
Fulgit»^(XIIl) — Sustollere' (XVIII). 

6. Avverbi. Gli avverbi degni di nota sono ben pochi. 

» 

E frequente jugiter; poi si trova: Satis = multum^ coelitus ^ 
(II) — Perpetuura iVll) — Ul)ertim (XVlIl) — Tantum... quan- 
tum = tam... quam. 

7. Preposizioni. Rispetto alle preposizioni nota il Neff * 
diverse particolarità, delle quali le seguenti sole sono comuni 
alla prosa ai alla poesia di Paolo Diacono: 

Ex ordine = ordinatamente; ex hoc tempore; usque quo; 
ex hinc usque quo; ad hunc usque (\) — Meriti prò lampade 
summi (II) — Roscida de lacrimis (IX) — Non de litteris 
captamus (XII) — Lumine de quarum (XIX) — De norfllne di - 
cor; de germino duco; de principe cretus (XX) — Rapta est 
de lumine vitae (XXIll) — Matris habens nomen renovas de 
morte dolorem (XXIV) — Hebreo de sanguine cretus (XXV) — 
lam fluebat decima de mense diecula lani (XXVi) — Est sub 
corde voluntas (XXXIV). — Si noti: /ns/ar nectaris (III) — In- 
star tauri* (IV). 

Secondo V analisi ora fatta possiamo dire che Paolo, come nella 
prosa, così nella poesia usa facilmente una preposizione per un'altra 
e specialmente la preposizione de è qu<^lla, che egli adopera ora 
invece di e ed ex^ ora per a ed oò, anche dove si richiederebbe un 
semplice caso, ablativo o genitivo, come tra breve vedremo. 

8. Particelle, il Neff* nota che nella prosa Paolo usa 
spesso una particella per un'altra ed ab])onda in quelle di si- 
gnificato affino. Ma nella poesia sono ben pochi gli scambii e 
mi sembra che in nessun luogo si nota sovrabbondanza, se ne 
escludi la particella que^ che ò largamente usata anche nei 
classici, forse per ragioni di metro. 

Tu requies^^^é?, portus7?«f? salusq^/,^; \\di\({ue quiesq?^^ simul; 
{[wo^que Siler potat , Rornuleus(/«*6' Tibris ; qui^^^^ bibunt 



1 Po*-J. lai. I, Inde rerhoruhx. 2 NofT, 46; rf. W'ólinin, Archir. ree. Vii, 485 sjji;.; 

Vni, n sp., Ii3; Rónsch, li». 3 Kòiisih, 201. S NolT, ««-i9. 5 WtMinin, .\rch. II 381 .*2g., 
IV 357, IX-5 ron ehit'r Pfnjtonlione 'thh,',i[iiii, II, o«o. 6 0|i. e, 24. 



- 34 - 

Ararim le flent; Histrumg?^^ Pdoìumque} soìamenque mundi 
sollicitusgw^ timor (XXXIII) — Defensoremgw^ patremque 
(XXXIV) — Nihilominus = eliam (II, 74) — Nec dignata suum 
visere nam dominum; in cui naìn è un pleonasmo, ^onque - 
nere ' (II, 146). 

9. Sintassi, a) Dei casi. Il Neff osserva che Paolo stesso, 
invece di un semplice caso, lo adopera con preposizione e vi- 
ceversa ^ Per calculum (I) — Per visa; ad imperium; sinu 
(II) — Aetatis ipso limine (III) — Delatum Perside malum. 
(IV; — Claustrorum septis nec habitare volunt (V) — Immo- 
dico flagrat de vestro pectus amore; per Domini munus; de 
munere Christi (V) — Dum flores terris (Vili) — Qua non his 
fe/^ìs (IX) — Hac turpi.... ab arte (X) — Paradisea culmine 
missa (XIV) — Ignis ab igne x)erit; occidis undis; ducibus 
coraitaris opimis; plecti hoste gravi (II) — Miraculorum prae- 
potens (III) — Frequenti sono V espressioni: Per aevuni; tempus 
in omne, 

b) Del verbn. Cuius adhuc fidens de spe sustoUor herili 
(XVIII). Dove notisi il genitivo cuius dipendente da fidens; 
€ il de con l'ablativo invece dell'ablativo di causa. 

Mundum venit restaurare (I), invece di una proposizione 
finale con ut] come pure: exores.... participem fieri ^ (XXII). 
Inoltre : Tu sola inventa es fueris quae digna tenere (XXII) — 
Si Galilaeus erasy vinceres omne fretum (IV); dove nella 
protasi è l'indicativo invece di un tempo storico del congiun- 
tivo ^ Tu quoque si felix vigeas de munere Christi (V). — 
Notisi il si deprecativo (Gfr. sopra). * Si noti: Dum steterit per 
Cura steterit. (I) 

Da questo studio risulta che la lingua nelle poesie di Paolo 
Diacono, tenuto conto dei tempi, è pura ; la sintassi regolare quasi 
sempre e Io stile riesce piuttosto dotato di chiarezza e purezza, conciso 
e spigliato. Già il Bethmann osservava rispetto alla prosa di Paolo : 
« Scine Sprache ist im ganzcn richtig und rein von Barbarismen, 
die wcnigen ausgenommen, welche dadurch, das die lateinisclio 



1 Cocchia, 381, avv. 2. 2 Op. r., 15. 3 Ronca, Cultura pcc. I, 292; cfr, Dràgcr, II, 
368; Cocchia, op. e, 375. i Dràgcr, fi, 730. 5 Ronca, Cultura ecc. I, 30«. 



— 35 — 

Sprache in Mittelalter keineswegs eine tote war, sondem als cine 
wirtlìch lebende, eine eigenttimliche; nicht zu hindemde. Entwicklung 
batte gewissermassen unwermeidlich und zur Regel geworden 
waren. » * Se questo diceva il Bethmann della prosa di Paolo, a 
fortiori dobbiamo noi dirlo della poesia, la quale è sempre il fiore 
della letteratura; e, nel caso nostro, la brevità dei componimenti 
faceva si che il poeta v' impegnasse tutta l'arte sua, tutta la sua at- 
tenzione, perchè riuscissero componimenti della maggior perfezione. 
Possiamo dire lo stesso delle poesie dubbie? Un semplice sguardo, 
che si dia all'analisi delle une e delle altre, per essere in grado di 
dire che non in tutte si hanno le stesse doti e che talune peccano 
di piti contro la purezza, correttezza ed eleganza, altre sono più 
leccate, e quindi lontane dalla naturale semplicità e spigliatezza di 
Paolo. Onde a prima vista potrebbe il lettore giudicare dell'au- 
tenticità o meno delle poesie dubbie 



Archa\,X «7C. 



*t^--^f>-^^ 






V. 



CONFRONTI FRA LE POESIE DUBBIE E QUELLE 



DI 



PAOLO DIACONO 



NELLA DICITURA E NEI CONCETTI 



1.® Gruppo. 



Multa legit pauois: 

V. 2. Hoc servns fecit Karolo rege tuus 
Cfr. XXVII, 67: Parvus humilis servus tuiis hos versus ad te mittit 
» XXXIV, 2: Dat famulus supplex verba legenda tuus. 
Hoc satus in viridi: 

V. 2. Pulchrior en lacte candidiorque nive. 
» XXII, 8. Qua nec in occiduo pulchrior ulla foret, 
V. 19. Sola sed inde manet felix fiducia spei 
Quod talis caeli spiri tus astra petit. 
» » 33: Solatur cunctos spes haec sed certa dolentes, 

Pro dignis factis quod sacra regna tenes, 
» XXXIII. 49: Solatur tantos spes haec utcumque dolores 

Quod te prò meritis nunc Paradisus Jiabet. 
V. 27. Stemmate clangerò, regali sanguine cretus 



~ :\1 — 

Cfr. XXV, 25: Septimus Haebmeo est Simeon de sanguine ctHus 
» XX, 12: Pippinns pater est, Karolo de principe cretus 

V. 33 Alter inante manens vernali cespite poUet 
» IV, 7: ... viridi dura cespite pallet, 

V. 43 ludicis altithroniy virgo Maria, precor 
» Vili, 17: Cultibus altithroni quantas fundaverit aedes. 
Multioolor quali specie. L'autore di questa descrizione * si mostra 
già esperto pittore di quadri naturali. Vediamo un po' se una dote 
siffatta possiede il nostro Paolo. 

Questi nella poesia XVII, sul bel principio, ci presenta una 
descrizione del tramonto: 

Cynthius occiduas rapidis declivus ad oras 
lam Yolitabat equis, iam nox se cenila pallam, 
Rebus et humanis metas positura labori, 
Stelligero varii cultus fulgore micantem 
Rorantemque simul citius vestire parabat; 

e poco dopo un quadretto del levarsi del sole: 

Crastina cospicuo cum lux fulgebit Eoo, 
Tinxerit et tremulos Titania purpura fluctus, 
Errabitque vagis late rubor aureus undis, 
Cuncta et ridebunt Phoebo radiante per orbem. 

Ma nella iscrizione, che esaminiamo, stante la sua brevità, la 
levata del sole è descritta in un sol verso : 

Vel primum radios cum Titan spargit in orbem 

in cui Titan trova riscontro in Titania pwpura; spargit in ovòeni 
in Phoebo radiante per oì'bem ed in Perfundit radiis.., florentia rura. 

Il V. 4 Haud alio mirum nitit hoc fulgore tribunal 
si confronti con 

Stelligero vnrii cultus fulgore micantem, 

dove fulgore occupa ristesso posto in ambedue i versi, e col verso: 



1 Y. p. 3. 



— 38 — 

Crastina conspicuo cum lux fulgcbìt Eoo. 
Il verso : Caerulci cum cingunt aethere nimbi 



ricorda 



tetris cui nubibus aethcr... Imminet... 



una ante omnes. 

Non ha che brevissimi riscontri, cosi natum per filium ; funera 
nati, geminae natae (XXXIII, 43^ 45); ed anche extincii viscera 
nati (II, 103). Proprio sanguine per stw sanguine è comune nel- 
l'altre poesie. Ma un' espressione quasi uguale a posce deum natum- 
que trovasi neir Epistola all'abate Teodemaro: Christum deposcite *. 

Adam per lionum. 

Per lignum pcpulit Christus ab orbe necem, 
Cfr. Ili, 28: Peplo puer vitat necem, 

Crux tua, Christe, tuis sit protectio saeptis 
Ne lupus insidians possil adire gregem 
» II, 141-42 : Guttura Claude lupi semper lacerare parati 

Ne male me rapiat guttura Claude lupi; 

e nella stessa poesia a saeptis corrisponde rupea saepta (v. 125) e 
il gregem al mitis adesto gregi (v. 132). 

Crux tua, lux lucis has vaJlet fulgida caulas^ 
Fundere ne serpcns dira venena queat 
Cfr. II, 145-46: Pesti fer ille draco mea ne procul intim^a turbet 

Xamque mihi occurrat ptstifer ille draco, 

Christe, deus mundi. 

Christe, deus mundi qui lux es clara dicsqne 
» VI, 1: Christe potens via^ vita^ saZus, spes sola tuorum, 

» VII, 1: Christe salus utriusque decus^ spes unicxi mundi, 

Hic decus Italiae. 

V. 3. . . . non fictae pacis amntw\ 
» XXXIII, 19: . . . gratiam />ac2« servavit awia^or. 

V. 7. Sobrius, armipotens, castus, moderamine pollens 
Primus in in genio, primus in arma fuit 



1 M. G. D. Epislolae IV, TiOV. 



— 39 — 

Cft". XXXIII, 9: Foi'mosus, validus, suavis, mocle^*atu8 et acer 

FacunduSy sapiens^ luxqu^ decorfjue futi. 



Anteibat iuuenes venata^ viribiis^ annis 
Flaminibusque ipais famina sancta dabat. 



V. 15. Peius Roma gemit tanto spoliata senatu, 
Perdidit ornatum, perdidit arma simul 
Cfr. XXXIII, 31: Planctus vbique sonai, te luget sexus et aetas 

Omnis, et ante omnes, tu, Benevente, doles. 
V. 17, Tristcs stant acics magno dm'.tore remoto 

» I, 28: ductore fortissimo 

> » 35: Arechìs benignm durtor 

Come si vede i confronti sono abbastanza ai)prossimativi. Non ab- 
biamo confronti a fare in Ad perennis vitaa fantem e Aquarum meÌ8. 

Sit tibi, sancta palanx^ 

V. 4. Ut bene proscindi possi t de vomere verbi 
Cfr. XVI, 1: Candidolnm bìlìdo proscissum vomere campum. 

V. 8. Solvanturque . . . calefactiie lampade Phod)i 
» 11^ 149: .... prò lampade summi, 

Corporeos gressus ^ 

V. 4. Si qnaeras penetrare polum quo tramite possis 

Cfr. II, 108: Regna poli penetrai 

» » 129: caelestis tramitis index. 

» XVIII, 20: Spcs sacra regna />oZi tribuit .... 
» XXI, 4: . . . . astrigeri qua patet aula j[>oZt. 

Ut queant laxis. 

V. 3. Solve pollati lalfii reatum 
Cfr. II, 135: Vincula solve mei solita virtù te piacli, 

V. 11. Sed re formasti genitus peromptac Organa vocis 



1 Qui sanria phalanx sia ad in<licare i monaci di un monasloro, comp, nei dislici a 
S. Beno<l«»Uo, i Boati; nell'epilalfio di Arirliis, p^rnjriiìa phnliHu' (v, ,ì8j significa i pellegrini 
che andavano al (ìarKano; e nella cilala «'pisloia di Teotleniaro .«•aera et renerabilis phalanx e 
chiamata la Comunità Ca.ssinese. 8 Io ritengo questi mt^ì continuazione dei precedenti 

per ragioni, che vedremo In seguito. 



» 


» 


» 


» 


» 


» 


:» 


» 



— 40 — 

Cf'r. II, 12: Laeta reformatum vas pedagoga tulit. 

V. 16. Abdita pandit 

15: mortalibus abdita cunctis 

59: Abdita facta patent 

V. 17. Antra deserti . . . pei isti 
49: Lyris arnoena petens 
125: Rupea septa petens. 
V. 35. Praepoteìis martyr eremique cultor 
» III, 13: Miraculorum praepoteris, 

V. 41. Nunc potens nostri incritis opimis 
» II, 40: . . . . ducibus comitaris opimis, 

V. 33. nimis félix meritique celsi 
» » 108: O nimis apte Deo .... 

Qui8 po38it ampio. 

Quis possit ampio famine praepotens 
digne fateri praeuiia Virginis. 

L'inno incomincia quasi come l'epitaffio di Aricliis: 

V. 5. TaUiiis ore potens ciiius vix pangere landes 
Ut dif/num est, posset vel tua lingìui^ Maro, 
Cfr. XXXIII, IC: . . . . famina sancta . . . 
» XXXIV, 13: .... sacro . . . famine . . . 

V. 10. Virus caelidri terrigenum parens 
» III, 63: Gliscat bonis ydrum cavcns. 

V. 11. Rine lapsa jìestis per genus irrepcns 
» 11^ 29: Pcstis iniqua latens .... 

V. 14. Cernens jt^ioc// vìsccra Virginis. 
» » 135: Vincula solae mei solit^i \ìt\m\.q piarli, 

Dulois amice veni. 

V. 5 Pone siq/ercilium, hospis, qui haec quoque 

lini ina scandis 
Cfr. XVI, 7: Tange supereilium .... 

Dulcis amice, bibe. 

Non ci dà occasione a confronti, meno che dell'uso del Si 
deprecativo : 

Cfr. V, 15: Si fclix vigeas de muncre Christi. 

Haec domus est Domini. 

V. 5. Si qua piada noccnt olim quae forte parastis 

(Cfr. sopra). 



— 41 — 

V, 14. Pectora vestra sonent : /?arc6 et miserere 

precamur 
Cfr. IV, 29: Qui legis ista, precor Taulo, die 'parca Redemptor,. 

Quid fatis liceat. 

V. 8. lustitiae cultor, nobilitate probus 

> VI, 19; lustitiaeque tcnax, .... 

V. 9. Felix posteritas servat quod vita patravit 

> XXI, 7: Cuius posteritas aUxvo conlìsa patrono. 

Ad flendos tuos. 

V. 11. Verìuintem clero, fulgentem ecclesiis 
» XXXIII, 45: . . . vernanti flore supersunt. 
V. 57. Pro cantu tibi, cithara et organo 

Luctus advenit, lamentuni et gemitus. 
» IX, 13. liei mihipro thaUimis dedimus^ virgo ^ sepiUchrum 

Pro taedis miserum funeris offkium 

2.® Gruppo. 

Olim Romulea Sanctus ^ 

V. 9. Liguriae praesul sanctus Ambrosius urbis 
Cfr. H. L. II, 15: Secando proviìicia Liguria,., in qua 

Mediolanum est. 

V. 15. Insignis Karolus romanum/>a;w/ere car?n^n 
» XXXIII, 5: Tuli ius ore potens cuius vix|?an{/ére iawde«. 

V. 19. Et status eccleaiae luxit ubique sacrae 
» XXXIII, 31: Planctus ubique sonat^ te luget sexus et aetas. 
» H. L., II, 4: Erat ubique luctthS. 

V. 31. Plebs itala caneret tempus in orane Deo 
» XXVI, 5: Esto memor Pauli tempus in omìie tui, 
Sponsa decora Dei. 

V. 1. Sponsa decora Dei pe<e< aZto Scholastica cadi 
» II, 35, 36, 49, 125. 

V. 13. i?e^na j:;oZi cupiens patriam cum fratre reliquit. 
» » 108: Regna poli penetra t 

V. 27. Pabicla prò solito dedcrant animabus amata 
» > 25: Pabula grata ferunt 

V. 61. In volucris specie vulitabat ad astra columòae 
» » 107: . . . instar petit alta columbae. 



1 I confroiHi di qucsi' epigr. sono presi dall' op. e. dell* Ainclli. 



— 42 — 

Valgano questi confronti come saggio, potendosene fare altri 
ancora, specialmente di concetto. In generale poi si nota in questa 
poesia una certa yerbosità. 

A voler giudicare da questi confronti, dovremmo subito conclu- 
dere che delle poesie dubbie appartengono a Paolo quelle, che più 
abbondano di concetti, di fVasi e parole simili. Ma questo, se è buon 
argomento, neppur. esso è decisivo; poiché lo somiglianze possono 
anche essere di un imitatore fedele di Paolo Diacono^ cosa del 
resto facile in quei tempi di frequenti e talora pedestri imitazioni. 
Procediamo dunque nella ricerca fino a che non giungiamo a poter 
formulare un giudìzio^ se non decisivo, almeno di grande probabilità. 






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VI 



LA TRADIZIONE CLASSICA NELLE POEESIE DUBIBE 

E NELLE POESIE GENUINE 



1)1 



PAOLO DIACONO 



1.' Dubbie. 



XXXI. 5. Dente timendus aper tibi ponitur .... 

Ov. Ep, IV, 104. dente timendus aper. 
» 11. Unguibus accipitris captam, rogo, percipe pracdam 

Trist, Ij 1, 76. Unguibus accipiter. 
» 17. Si tua perpetuus non claudat lumina somnus 

Georg. IV, 496. conditque . . . lumina somnus. 
» 20. Sì non sis ipse praeda cruenta canum 

Fast, F, 178. praeda cruenta leae. 

XXXII, 7. Amne rigate genas, sanentur ulc(Ta cordis 

Art. Am. 532. imbre rigante genas. 
XXXIX, 2. Pulcrior en lacte candidiorque nive 

Ex Ponto II j 5, 37. lacte, et non calcata candidiora nive. 
» 9. Pallida ceu sandix inter viburna rcfulget 

Verg. Ecl. J, 25. inter viburna cupressi. 
» 27. Stemmate clarigero, regali sanguine cretus 

Verg. Aen. Ili, 608. quo sanguine cretus 



— u — 

» 15: Ilic crat altus amor 

Fortunati C, III, 21, 2. altiis amator 
XXXIX^ 20: Quod talis caeli spiritus astra petit 

Fortunati C, JF, 5, 6. spiritus astra colit. 
» 34: Alter ad aetra volans aurea saecla tenet 

Art. Am. 11^ 277. Aurea . . . saecula. 
» 39: Bissenosque prius menses quam solveret annos 

Metam. V, 565. volventem . . . annum. 
» 28: Aurea non valuit sceptra videre patris 

Fast. VI, 38. Aurea . . . sceptra. 
XLVII, 1: una ante omnes felix pulcherrima virgo 

Aen, III, 321. felix una ante alias Priameia virgo. 
XLIX, 18: Gloria magna patri jugiter per saecula cuncta 

Sedul. Hymn, 7, 109. Gloria magna patri. 
L, 3: . . . . non lìctae pacis amator 

Rem, 20. pacis amator. 

2.'' Gennlne. 

11^ 43: Perfida corda gemunt stimulis agitata malignis 

Aen. X, 337. Stimulisque agitabat amaris. 
» 55: Cemitur ignis edax falsìs insurgere flammis 

Aen. Ily 758. ignis edax. 
» 102; Stratus humi recubat ille superbus equo 

Met. II, Ali. Stravit humi pronam. 
» 105: Omnia vincit amor: vicit soror imbre beatum 

Ecl. Xj 69. Omnia vincit amor. 
» 102: Quem pius cessit amor, flammeus orbis habet 

Ecl. II, 68. Me tamen urit amor. 
» 116: Primus in arma ruis, dux bone, bella monens 

5. Aen. II, 353. et in media arma ruamus. 
IV, 1. Ordiar unde tuas laudes, o maxime Lari 

Georg. II, 159. te, Lari maxime. 

> 2. Munificas dotes ordiar unde tuas 

Ov. Ex Ponto IV, 1, 24. munificas opes 
» 3. Cornua panda tibi sunt instar vertice tauri 

Ov. Pretam. X, 271. pandis inductae comibus. 

> 6. Regificis mensis munera magna vehis 

Aen. VI, 605. Eegifico luxu. 
» 7. Ver tibi semper inest, viridi dum cespite polles 

Aen. Ili, 304. viridi quem cespite. 



— 45 — 

» 13. Mirtea virga suis redolet de more corymbis 

Art. Am, IH, 1, 34, myrteA virga fuit. 
» 17. Gedat et ipse sibi me iudice furvus Avemus 

JEScZ. /K, 38. Cedet et ipse mari 
» V, 18. ludicìo nostro tantum sibi cedit Amyntas^ 
» 19. Gedat et ipsa tibi vitrea cui Fucinus unda est 

Aen. VII^ 759. vitrea te Fucinus unda. 
» 21. Vinceres (Hnne IVetum, si te calcasset lesu» 

Cfr. Ovid. Trist. Ili, 10, 39, 41. 

V, 5: Quapropter nobis aversae terga dederunt 

Aen. r^y C86, versi terga dedere. 
» 8: Suscipe sed libens qualiacumqne tamen 

Ibrtunati Carni. I, 17. Suscipe quam libenter.. 
» 29: Immodica flagrat de vestro pectus amore 

Aen. Illy 298. miroque incensum pectus amore 

TrUt. IV, 9, 7. 
» 19. Quam tuus e nostro labatur pectore vultus 

Ed. I, 63. Quam nobis illius labatur pectore voltila. 

VI. 1. Aemula romuleis consurgnnt moenia templis 

Aen. I, 437. iam moenia surgunt. 
> 12. Quosque referre pudet. Horum est nam structor borili» 

Sedul. C. Pasch. /, 260. Plura referre pudet- 
» 14. Pectore quamque magis virtute insignis et armis 

Aen. VI, 403. pietate insignis et armis. 
» 17. Quo merito Latiae dicatur gloria gentis 

Amor. Ili, 15, 8. Pelignae dicar gloria gentis ego; 
Metam. XIV, 832, Fast. IV, 42. 
» 19. lustitiaeque tcnax, summus servator honesti 

Lue. Phars. II, 389, lustitiae custos, rigidi servator 

honesti. 
T" 20. Iste pater patriae, lux omne decusque suorum 

Fortunati Carm. IX. 10, 1. Summae pater patriae; 
» ^ » V, 10, 1. 

VIII, 3. Ilic namqne Ausonii comisa pulcherrima regis 

Aen. X. 611. o pulcherrime coniunx. 
» 6. Dum flores terris, dum lumen ab aetbere surget 

Ed. VI, 76-78. 
» 11. In quo per Christum Pardis spes maxima mansit 

Sedul. C. Pasch. II, 97. spes maxima vitao 
» 19. Securus iam carpe viam percgrinus ab oris^ 

Ilor. Sat. II, 6, 93. Carpe viam. 



— 4r, - 



IX, 



XII, 



XIV 



XVII, 



xvm, 



26. Concludam paucis quicquid pietatc redandat 
Sedili. C. Pctsch, 260. piena pietatc redundans. 

3. Tu decus omne tuis, virgo speciosa, fuisti 
Ed. r, 34. Tu decus omne tuis. 

6. Longaevi ut cuperent iain tua vcrba senes. 

Ov, Ep. V, 40. Longaevosquc senes. 
15. Tundimus heu maesti prò plausu pectora pugnis 
Aen. IV, 673; XII, 871. pectora pugnis 
Art. Am. /, 535. tundens . . . pectora palmis. 

1. Thrax puer adstricto glacie 

Afetam. /, 120. glacies adstricta. 

2. Frigore Concrctas pondere rupit aquas 
Aen, XII, 905. concrevit frigore. 

13. Ut sacer immenso Christi Petrus arsit amore 
Aen. Vili, 163. juvenali ardebat amore. 

15. Sic ubi donasti facinus, pietatis amator 
Fortun. C. 7//, 22, 5. pietatis amator 

4. Terruerunt animum fortia verba meum 

Ov. Amor. Ili, 5, 2. Terruerunt animum taliavisameum. 
7. Dicam equidem quod mente gero 
Aen. r/, 722. Dicam equidem. 
11. Nam, si parva licet rebus componere magnis 

Georg. J V, 176. Si parva licet componere magnis. 

24. luraque det hedis imperitetque capris 
Aen. I V, 562. dat jura. ->_ 

25. Sunt illi invalidae pavitanti in pectore vires 
Trist. I, 5, 72. Invalidae vires. 

V. 26. Nam nimium vestrum nomen et arma timct. 

Amor. I, 6, 30. arma times. 
35. Sin minus, adveniat manibus post terga revinctis. 

Aen. II, 67, manus . . . post terga revinctum. 
43. Littera quae temis consurgit in ardua ramis 

Pers. Sai. Ili, 56. 
47. Ut moneor faciam nec per me frena regentur 

Ex ponto I r, 12, 24. regerem . . . frena 

15. Tinxerit et tremulos Titania purpura fluctus 
Or. Ep. IV, 72. tinxerat ora rubor. 

16. Errabitque vagis late rubor aureus undis 
Met. VIII, 595. vagae . . . undae. 

1. Candidolum bifido proscissum vomere campum 
Met. VII, 119. ferro proscindere campum. 



— 47 — 

» 3. nimiuin felix conscendens igncus axcm 

Aen. IV, 657. Hcu nimium felix. 
» 12. Non licet hunc calamom inflàre labello 

Ecl. r,2. calamos inflarc; 11,34 calamo trivissclabellum. 
» 13. Sed potius pronum male sing^ltantia verba 

Calp» Bici, VI, 24. expellis male singultantia verba. 
» 36. Saepe pecus mutilum bruto dat comua nato 

Ov. Art, Amai, III, 249. Turpe pccus mutilum, turpis 

sine gramine campus. 
XIX, 11. Redde vicem misero: ne indice spernar ab aequo 

Ov, Am, /, 6, 23. Redde vicem meritis. 

XXI, 8. IIoc cupit in sancto ponere membra loco 

3IeL VI, 246. Membra solo posucre. 

XXII, 10. Sardonix Pano, lilia mixta rosis 

Fortun. Carm. VI, 1, 108. Lilia mixta rosis. 
» 16. Laus tibi^ quam tanto complacuisse viro 

Trist. II, 139. Nulla quidem sano gravior 

.... Poena est quam tanto displicuisse viro. 
» 18. Cigniferumque Padum 

Ov, Amor, III, 17, 32. populiferque Padus. 
» 20. Multiplicis regni aurea sceptra manu. 

Fast, Vly 38. Aurea .... sceptra. 
» 21. Alter ab undecìmo iam te susceperat annus 

Ed, Vili, 39. Alter ab undecimo tum me 

iam acceperat annus. 
» 22. Cum vos mellifluus consocia vit amor 

Fortun. C. IV, 26, 35-36. 
» 27. Accola te Ligeris, te deflet et Itala tellus 

F(xst, IV, 64. Itala nam tellus. 

XXIII, 9. Excessit patrios non conspectura triumphos 

Lue, Phars, /, 12. nuUos habitura triumphos. 

XXV, 15. Huic, quam olim Mettis veteres dixere coloni 

Ed, IX, 4. veteres migrate coloni. 
» 25. Septimus Haebreo est Simeon de sanguine crctus 

Aen, III, 68. quo sanguine cretus. 
» 34. Post Bonulus bonitatis opus de more peregit 

Art, Am, II, 480. dulce peregit opus. 
» 58. Angelramnus oves : quo tempore maximus armis 

Aen, II, 339. et maximus armis Epytus. 

XXVI, I, 3 carum ac memorabile semper 

Md, X, 608. magnum et memorabile nomcn. 



— 48 — 

» 4. Dulce, Adalard, nomen pectore cedat amor 

Kem. 752. de vacuo pectore cedat amor. 
XXVIL 10. Hic sonipes pariter hoc coraitatus iter 

Aen, K/, 112. meum comitatus iter. 
» 12. Capreolique simuK caprigenumque pecus 

Aen, II Jj 221. Caprigenumque pecus. 
» 19. Has tunc ante alios voces emittere fertur 

Afef. XV, 657. emittere pectore voces. 
» 22. Auribus haec placidis suscipe verba tuis 

Ex Ponto, 7, 2, 129. placidas ... ad aures. 
» 31. Haec dum dieta refert ursus, rex omnibus inquit 

Met. VII, 481. Dieta refert. 
» 33. Tunc plebs tota simul voces ad sidera toUit 

Ed, V, 62. voces ad sidera jactant 

Aen, II, 222. clamores ... ad sidera tollit 
» XI, 878. clamorem ad caeli sidera tollunt. 
» 38. Imponensque humeris regia castra petit 

Amor, II, 16, 29. humeris impone. 
> 43. Illa diu trepidans, timidoque in pectore versans. 

Aen, IV, 563. nefas in pectore versat. Georg. IV, 83. 

Met, XI, 448. timidum . . . pectus. 
» 46. Accipe nunc animo quae tibi dieta fero 

Aen, III, 250. Accipite ergo animis atque haec mea 

Agite dieta. 
XXXIII, 42. Languida membra trahens te moribunda dolet 

Ov, Ep, XX, 156. languida membra cadunt. 
» 37. Quique bibunt Ararim te flent Istrumque Padumque | 

Ecl, I, 62. Aut Ararim Parthus bibet; 

Aen. VII, 715. Qui Tiberim Fabarimque bibunt. 
» 46. Solamenque mali sollicitusque timor 

Aen, III, 661. Solamenque mali. \ 

» 50. Quod te prò meritis nunc Paradisus habet 

Fortun, C, IV, 17, 12. quem Paradisus habet ' 

» 51. Regina potens, virgo, genitrixque creantis i 

Fortun, C, Vili, 8, 1.0 regina potens. ' 

Tutte queste reminiscenze sono state raccolte dal Dilmmler ' ; ' 

ma, siccome gli studi di Paolo Diacono, non solo come storico, ma 
anche come letterato e poeta, vanno sempre più progredendo, ecco 



t Vwi. lat. -r 33-83 nuU*; II, (Ì8K. 



— 49 — 

il Manitius \ che ci offre nuovi confronti con poeti classici. Cosi: 

II, 115. Primus in arma mis, dux bone, bella monens 

Lue. Pkars. Ili, 36 sgg. Cladem manesque minentur, 

maior in arma ruit. 
XXVII, 67. Servnlus ecce tuus depromit hos tibi versus 

ricorda il v. 35 dei monosticha, che Eugenio Toletano ha posto nella 
chiusa della sua edizione di Draconzio: 

Servulus Eugenius devota mente dicavit. 
XXX, 3 hinc procul effuge demens 

Bug. Carm. XXIX. Migne 87, 367. 

procul effuge daemon. 
XXXIV, 6. sg. Sit licet effectus modicis prò viribus iinpar 

Ov. Ex Ponto, III, 4, 79. Ut desint vires, tamea 

est laudanda voluntas. 

Da questi confronti possiamo argomentare quanto studiasse i 
classici il nostro poeta; il quale però sa fame tesoro più nello 
poesie profane che nelle sacre, e di quelle più in quei luoghi nei 
quali ritrae le bellezze e i fenomeni naturali e nelle poesie di ar- 
gomento triste ed affettuoso. Forse anche in lui aveva preso radice 
il pregiudizio ascetico di Gregorio Magno, il quale scriveva a Desi- 
derio vescovo di Vienna di abbandonare la consuetudine di leggere 
i poeti antichi nella scuola affidata alle sue cure, perchè da una 
stessa bocca non possono venire le lodi di Cristo e quelle di Giove '. 
Forse per questo noi troviamo meno reminiscenze classiche nelle 
poesie dubbie, dove ne sono diverse di argomento sacro; anche 
perchè qui sono più le poesie ritmiche^ in cui il metro classico non 
trova modo di acconciarsi; e potrebbe essere questo un argomento 
della genuinità delle poesie dubbie sacre e ritmiche. 



1 N. A, XVII, 611 sgg. « Novali, Storia letler. d* JtaHa. Le origini, p. 38. 



^^^m^^^r''^S^^f^^Y'^^M^^^'^^r'^m' 



VII. 



LA METRICA ^ELLE POESIE DUBBIE 



Il ritmo, che Longino definiva oiétscj zaTY;p y.ai Oìs; ' nella me- 
trica classica latina e greca dipendeva dalla quantità delle sillabe, 
dall'ordinato succedersi di determinati piedi, secondo i vari sistemi, 
dall'tc^iw metricus o percussione principale del piede. Sicché nessun 
conto si teneva dell'accento delle parole. Ma quando, sì nell'una 
come neir altra lingua^ il giusto giudizio della lunghezza e brevità 
delle sillabe s' andò dileguando, allora domina sovrano l'accento, 
sostituendosi a\V ictus. E 1' esatta quantità delle sillabe non sì per- 
cepì più nella lingua latina, quando, indebolito l'Impero Romano 
per cause inteme ed esteme insieme concorrenti, ammessi nella 
cittadinanza romana per la Constitutio Antonina di Caracalla (a. 212) 
tutti i popoli di ogni paese, di ogni lingua, di ogni stirpe, l'ege- 
monia di Roma svaniva e la sua lingua perdeva di purezza, andava 
corrompendosi per T infiltrarsi di elementi nuovi, e la quantità si 
modifica in rapporto alle stirpi ed alla varia disposizione degli 
organi vocali. 

Di UmtSL confusione di linguaggio si risenti sopratutto la poesia 
metrica ed avvenne che una sillaba breve sostituisse una lunga e 



1 npcÀs-j-oaiva «ì; rò 'H^aw riwvc; ìy/_ci3(^icv in Si'yiplores mctrìri grat'''i^ ed. R. West* 
phal, Lipsiae, 1866, voi. 1, 82 ssg. — Suhta, Lr.ncon graece et latinr^ ilalis, 1843, II, P. posi., 
633. — Per la differenza Ira poesia inelrica e ritmica, cfr. Zainbahii, Metrica gt-eva e latitta^ 
Torino, 1882, massime pp. 5 -75. — Hoiua, Mftrint e JUténka vvc. 



— 51 — 

viceversa; e Dionigi dice: i^ [xsuTtxtj %xi ^ pOu'.xt; [Ktd^piWz'jT. tì; 
Te {jLOxpà; tì^ te ^pa^siaq jxetousai aJ^sviat ^ ; avvenne che V accento 
grammaticale sostituisse l' icttts. Di guisa che gli stessi grammatici, 
quando vollero definire il metro ed il ritmo, non riuscirono più a 
distinguerli nettamente ^. 

Beda il Venerabile così definisce il ritmo : « Videtur autem 
rhytmus metris esse consimilis, quae est verborum modulata com- 
positio, non metrica ratione, scd numero sylktbarum ad judiciura 
aurium examinata, ut sunt carmina i)oetarum vulgarium^». Qui 
Beda ripete la definizione delT^rs Palaenionis * aggiungendovi 
numero syllabarum^ il che ci fa vedere che la nuova forma di poesia 
fondasi sul numero delle sillabe, non più sulla quantità, e per 
conseguenza sull'accento grammaticale, non già suir ictv^ metricus. 

Ciò nonostante, si continua in tutto il medio evo a scrivere 
versi quantitativi, sebbene qualche verso, come il tetrametro tro- 
caico, il trimetro giambico acatalettico, già abbia perduto ogni 
carattere di poesia quantitativa. Ma, perdutosi il senso nativo della 
quantità, i poeti dell'evo medio sono costretti ad apprenderne la 
nozione sui poeti classici o su quelli della decadenza e dai grammatici. 

In generale si afletta amore per gli autori arcaici e dei classici 
si cerca di imitare le licenze, che si pigliano come regola. Aggiungi 
la necessità di introdurre parole nuove o forestiere, specialmente 
quelle che riguardano il culto cristiano, aggiungi l'invadere dei 
barbari, ed ecco scosso fin dalle fondamenta il maestoso edificio 
della metrica classica *. Si potrebbe dire che i nuovi poeti com- 
pongono versi come farebbe uno scolaro, che apprende a verseg- 
giare con la Recfia Parnassi. 

Ciò posto, veniamo all' esame della metrica prima nelle poesie 
dubbie e poi nelle poesie genuine di Paolo Diacono. 

l."" Esametri. 

Nessuna irregolarità metrica vi si nota, sebbene non possiamo 
dire che in tutti si senta l'armonìa virgiliana. La cesura pentemi- 



1 Df coinposilionc Cfrborum, XV, iQ. 2 Ronra, op. e, 8, sgg.; 79 sgg. — A questa 
confusione tra rìimo e metro si collega la quislionc (li'irori;;ine della poesia riimica medievale 
e delle lin;;ue romanze, la quale e trattata ampiamente nella citala opera <lel Ronca, per la 
per la prima parte; per la seconda, dal Prof. D'Ovidio: Sull'origine dei versi italiani, Cfr. 
Hùller. De re tm*trira, ii5 ssg. 3 De arte metrica. Putsch, col. 2380-1; Kell, Gram. Lat. 

VII, I, «58. 4 Kell, VI, i09; Putsch, 1957. 5 Konca, Metrica e ritmica; cfr. Cultura 

tnedirralr ecc. 319 su;:.; Mùller, op. e, 37«, lo-IG, 330-o9 



— Ó2 — 

meri, quella che interrompe il verso nel modo più armonico e 
più vario di tutte le altre, è sempre conservata, meno in questo: 

Posce Deum natumque piis quem contines ulnis ', 

nel quale bensì abbiamo la cesura xa-rà TpCtsv TpoxaTsv, la tritemi- 
meri e reflemimeri, che trovansi anche associate alla pentemimeri; 
p. cs. in questo: 

Haud alio mirum nitit hoc fulgore tribunal -. 

E non mancano versi bolli. 



2/ Distici. 

Hoc satìis in viridi, 

V. 3. Donec altìpotons voniet per saecula judev. 

Il primo piede consta di un trocheo ingiustificabile. 

v. 5. Hunc tua, lordanis, sacrato y/rotulit unda. 

Il quarto piede è anch' esso un trocheo ingiustificabile ; a meno 
che non si voglia ammettere che il gruppo pr di protulit faccia 
posizione ^. 

V. 13. Haud secus emicuit graci/w infamia nati. 

Anche qui il quarto piede è errato, se non che si osservi che 
V ictus cade sull^ ultima sillaba di gracilis, rendendola lunga ^ 

V. 17. Heu ^cnìtricis hnins viola vit gaudia lucis. 

La terza sillaba del secondo piede è abbreviata, perche in tesi. 



1 Po^t. lai., I, 77. ì Ibrd.; Mù!l«'r, op. e, 182 sgj». 3 Zamhatdi, op. e, 1G5 sgg. 

i Avverto fin d' ora che spesato in sc^miìIo si troveranno sillal)e lire%i considerate rome lunghe, 
Mil perclu* in arsi, e vicevi*rsa, sillalM» Itinishe cons[«leralo come brevi, sol perche in le^i. 



— 53 — 

V. 42. ludicis altithroni, Virgo Marèa, precor. 

Ui di Maria è allungato perchè porta T accento tonico; cosi 
può aversi il dattilo. Al qual proposito giova riferire quel che dice 
Prisciano: I nominativi in a « in penultima syllaba accentum servant, 
quamquam nonnulla vocalem ante vocalem habere videntur: quorum 
alia differentiae causa, alia solo iisu produc?nda sunt^ ut Catillna, 
Urania,, Stephania^ '. Dove si vede chiaro che Prisciano confonde 
la quantità con Taccento, autorizzando Tallungamento di vocale 
breve evidentemente perchè colpita d' accento. E toma poi sull'i- 
stesso concetto, citando come esempi Philosophia e Papia^ dove la 
e, almeno per la prima, è di natura breve '. 

V. 44. Nobiscum matrem corde Togate /esu. 

Il quarto piede è un eretico per un dattilo. 
Adam per ligmttn, 

V. 7. Crux tua, lux lucw, has vallet fulgida caulas. 

Il terzo piede è un giambo per un spondeo. Nessuna irregola- 
rità presenta V Epitaphium Constanti!, anzi sono bei distici. 

Quid fati» liceat. 

V. 6. Nec retììiet a?j/mam dum sua luce vivit. 

Qui anche si può vedere che cosa potesse l'arsi e la tesi sulla 
quantità delle sillabe. 

Olim Romulea, 

V. 3, Per spatia cuncfa i;crtentis quali ter anni. 

Il secondo piede è un giambo formato dall' a finale di spatia e 
dalla prima sillaba di cuncta. Il terzo piede ha la stessa irregolarità. 

V. 4. Nocte dieque possìt reddere quisque preces. 

Ha nel secondo piede un eretico per un dattilo, essendo la terza 
del piede lunga per posizione. 



1 P. De accvnht, cui. 182», i P, col. 1290, 



— 54 — 

V. 12. Mùlcere * legis dogma canendo sacrae. 

Pel secondo piede valga l'osservazione precedente. Il primo 
piede dopo la cesura è un giambo. 

V. 26. Expansis manibus stando rogare Deum. 

Il primo piede dopo la cesura è formato da stando e dalla 
prima di rogare, che, secondo la metrica classica, è un bacchio. 

A questo proposito osservo che la dottrina dei grammatici « non 
solo non è concorde cogli esempi classici^ ma addirittura inverte 
la legge classica rispetto all' o finale » '. Potrei qui addurre parecchie 
testimonianze, ma basti questa del Carisio: « non solum correpta 
ponitur, sed etiam ridiculus sit, qui eam produxerit » '. Quest' ab- 
breviazione dell' finale anche nell'ablativo del gerundio è usata 
da Seneca (Troad. 2G4) vincendo, da Giovenale (III, 232) lugendo, 
da Nemesiano vigilando, mvlcendo, e da altri poeti dell' età post- 
augustea ^ 

V. 30. Plebs itala caneret tempus in omne Deo. 

Questo verso nei primi due piedi presenta un bacchio e un 
tribraco. 

V, 31. Hoc ìtsiqiie pangrmt Europa et Gallia tota. 

Nel secondo piede si ha un giambo. Qui però l'irregolarità 
potrebbe giustificarsi^ considerando che V enclitica que (are. qued), 
divenuta una sola cosa con tto, è lunga in Livio Andronico, in 
Nevio, accanto a que breve. In Virgilio ed in Ovidio trovasi tal- 
volta lunga, ma solo quando sia in arsi, come nel nostro caso, e 
vi è ripetuta breve nel medesimo verso *. Data quindi la tendenza 
all'arcaismo ed all'imitazione delle licenze dei poeti aurei negli 
scrittori del medio evo, l' irregolarità suddetta potrebbe giustificarsi. 

Multa legit paucis, 

V. 2. Hoc servus fuit, Karolo VQge, tuus. 



1 V. p. 87. 9 Ronca, Metrica e Ritmica, 1, 08. 3 Inst. Grainm. I, Putsch, col. S, 6; 

Keil, I, p. 16. i MùUcr, op. e, 1, 339. 5 Ronca, Metr. e Hitm., 73. 



— O.) — 



Il primo piede dopo la cesura è regolarmente un eretico, se 
non bì considera breve l'ultima sillaba. 

y. 3. Sic una ex multis nunc fiat ecclesia templis. 

Per il quarto piede valga l'osservazione precedente. 

3. Distici reciproci. 

Chi volesse conoscere la storia di questa trasformazione del 
distico veda il Mtiller \ il quale ne parla nel cap. De ludibriis 
artis. Il reciproco dunque è uno dei ludibrii dell'arte poetica^ in 
cui si perdevano i poeti medievali, mancando loro grandi soggetti 
da cantare. A noi basti dire che di questo distico si trova qualche 
esempio in Ovidio e Marziale; è adoperato in interi carmi da 
pQUtadio e da Yen. Fortunato, e, dopo di loro, il regno delle Muse 
ne è inondato. 

Diilcis amice, veni, 

V. 3. Finge^ maligne pedes et hinc procul effuge demens. 

Qui et è considerata come lunga, sebbene sia in tesi, ma pro- 
priamente il piede è un trocheo. 

Dulcia amice, hibe, 

V. 1. Dulcis amice, bi6e ^ratanter munera Bacchi. 
Il terzo piede è un giambo, ma la prima sillaba è in cesura. 

V. 4. Si non ilc^nis mors ffit a cerva tibi. 

Perchè il verso tomi bisogna ammettere una sinizesi in Acteonis 
e considerare come breve la preposizione a, che sta in tesi. 

V. 13. Clara coloris Siqtui tribuit ho8 tu cape pisces. 

Il terzo piede regolarmente è un tribraco, e il quarto un giambo. 
Noto inoltre questi tre distici, che non sono reciproci come gli 



1 Op. e, 4«l sgg. 



— 50 — 

altri, perchè manca la ripetizione^ nel pentametro, del primo emi- 
stichio deir esametro: 

Fercula sume libens adlata ex viscere cervi 
Si non Acteonis mors sit a cerva tibi. 



Sì tibi non oculos nox atra prò grue clandat, 
Fercula carpe libens, dulcis amice, gruis. 

Si tua perpetuus non claudat lamina somnns, 
Non dedigneris dicere: misce puer*. 

Per concludere dunque intorno ai distici reciproci e non reci- 
proci, dobbiamo dire che in essi le licenze sono in maggior numero 
che nei semplici esametri, quasi tutte però giustificabili o per V in- 
fluenza dell'accento o per la tendenza all'arcaismo; che la cesura 
costante è la pentemimeri S ed è tale ehe riduce, specialmente il 
pentametro, a due versi brevi, la qual cosa fa che la finale del 
primo emistichio spesso sia trattata liberamente come quella del 
verso e permette che l'esametro e il pentametro, cosi divisi, formino 
un nuovo sistema, il distico reciproco '. 

4. Strofe saffiche. 

Ut queant laxis. 

In quest' ode dobbiamo notare che il verso saffico endecasillabo 
è adoperato quasi sempre alla maniera oraziana, supplendo cioè U 
secondo trocheo con uno spondeo '. Le licenze metriche sono ben 
poche. 

Str. 6. Praebui^ hirtnm tcgimen camelus. 

Il secondo piede è un giambo invece del trocheo o spondeo; 
ma si pensi all'ictus. 

Str. 14. Gloria Patri Genitaeque proli 

Et tibi, compar utriusque semper 
Spirifiw aZme Deus unus, omni 
Tempore saecli. 



] Mùllrr, op. e, 208, 2 Ronca, CnUma pcc. I, ST». 3 Xùller, op. r., 113. 



- h7 - 

Martir Mercuri. 

Qui le leggi metriche sono tenute in poco conto. Senza stare 
ad enumerarle tutte, ecco qualche esempio dì licenze: 

Str. 1. Martir Mercuri, saecuW futuri 
Perpeti dona glorme corona. 
Qui tuam totis venerantur votis, 
Translationem . 

Dove ognun vede che nei primi due versi e nel quarto, in luogo 
del dattilo nel terzo piede, e' è un bacchio. 

Str. G. Urbs desolata ita consolata 
Super humata corporÌB beata 
Ossa prò rafa sit ut Deo grate 
Construit templum. 

In questa strofe abbiamo in principio del primo verso uno 
spondeo, del secondo un pirrichio ed un giambo, che sta pure nel 
quarto piede del terzo verso. Al posto del dattilo, nel primo verso 
sta un tribraco con iato, nel secondo un amtibraco, nel terzo un 
anapesto e nel quarto un eretico. La cesura è sempre conservata 
dopo la terza arsi, e, specialmente nel secondo inno, assume tanto 
valore da spezzare il verso in due emistichii '. 

4. Bitmiche. 

Finora ci siamo occupati della poesia quantitativa, la quale 
certamente non è immune dalle influenze del tempo, cioè della 
ritmica, di cui ora ci occuperemo. 

Quali fossero le origini di questa lo accennammo di fuga sul 
principio di questo capitolo. Qui basti ricordare che «questa ma- 
niera di versificazione fu chiamata accentuativa, perchè nelle sue 
forme più perfette l'accento tonico è il signore deir armonia rit- 
mica» ^. Questo però non ha da coincidere coir ictus, poiché la 
coincidenza, massime nel periodo, di cui ci occupiamo, non si ha se 
non in fine di verso e in cesura ^; ma Taccento e V ictus coincidono 



1 Ronca, Cultura ecc. I, 338. 9 Ronca, Cultura I, 338. 311 Barlsch dice: «Nur 

Versschluss und Caesur siphcn unter dcm Geseize des accents; in ùl)rigen werden die SUben 
nur gcslùhlt*. (Die Lat. Seq., p. So). 



— 58 — 

quasi in tutto il verso di ritmo discendente, cioè nel tetrametro 
trocaico, appunto per la natura della lingua latina. Sicché la base 
nella nuova ritmica è nella determinazione delle sillabe; e noi lo 
vedremo in particolare. 

1. Abbiamo testé studiato il saffico quantitativo e la strofe saffica. 
Sullo stampo di questa se ne formò un' altra di tre trimetri giam- 
bici acatalettici e di un adonio, poiché il trimetro giambico acata- 
lettico, « che ritmicamente era divenuto pari al saffico, salvo una 
sillaba atona di più nella chiusa, fini con essere percepito come 
niente più che lo sdrucciolo del saffico » '. Di strofe siffatte abbiamo 
i due ritmi alfabetici: 

Ad flendos tuos e Aquarum meis. 

Qui non è a parlare d'irregolarità metriche, non di lunga né 
di breve, poiché siamo nel campo della ritmica. In questi trimetri 
giambici non e' é soluzioni di arsi ' ma solo sostituzioni di spondei 
e trochei ai giambi in qualunque luogo. Ne cito qualche esempio: 

Ad flendos tuos, Aquileia, cineres, 
Nam mihi ullae sufficiunt lacrimae, 
Desunt sermones, dolor sensum abstulit 

Cordis amari. 

La cesura é sempre dopo la tesi del terzo piede. 

2. Il dimetro giambico, che anche nella metrica classica aveva 
un determinato numero di sillabe, subisce anch' esso l' influenza 
della ritmica, come può vedersi in questa strofetta: 

Salve miles egregie. 
Mercuri martir inclite I 
Esto nobis refugium 
Apud Patrem et Filium 
Et Spiritum Paraclitum. 

3. Ma il verso più popolare nella ritmica medievale fu il tetra- 
metro trocaico catalettico, il quale, forte di nuova vita, esce ad 
inondare il sacro regno delle Muse. Dotato di forte incisione quasi 
a metà si divide in versi più brevi, i quali si usano sciolti, con 



1 D' Ovidio, op. e, SI i MùUer tì», m- 



— 59 — 

rima baciata o alterna, in strofe distiche, tristìche, tetrastiche, ed 

in modo che all' ottonario piano, ripetuto due o tre volte, succeda 

il settenario sdrucciolo *. Riporto anche qui una strofe di ritmo 
trocaico : 

Ad perennìs vitae fontem et amoena pascua 
Praesul anxio qui corde scandere desiderat, 
Talem se per omne tempus curet ut exhibeat. 

4. L'inno Quia possit ampio in strofe tetrastiche di alcaici 
endecasillabi risente anch' esso V influsso della ritmica. Lo schema 
classico di un trocheo, uno spondeo, un dattilo, un trocheo più 
una sillaba in fine ed anacrusi ' è violato spesso. P. es : 

Str. 1, 4. Orbi retento reddita vita est. 
C ò r iato fra vita ed est. 

Str. 5, 1. Misdt£4S ab astris Gabriel in nube. 
Dopo r anacrusi si ha un pirrichio. 

Str. 6, 2. Orbis creator ortus in nube est. 

Ha un trocheo per ubo spondeo nel secondo piede; invece del 
dattilo un eretico e iato tra nube ed est. 

Str. 7, 4. Intrante Deo quas sera vinxerat. 

Nel secondo piede si ha un giambo; ma, secondo la legge 
delle parole giambiche trovata dal Ritschl ^, può considerarsi come 
lunga la prima sillaba di Deo e così aversi lo spondeo. 



1 D' Ovidio» op. e, 87 sgg. — Kberl, op. e, li, 321 s^g. — Ronca, Cultura medievale ecc. I, 
356; cfr. Metrica e Ritmica, I, 116 sgg. S Mùller, op. e, 113. 3 RilschI, Prolegomena 

de rationibus criticis, grammatici» etc. emetidationis platttinae, Tcubner, 1880, Xll, 165 sgg. 



— 60 



5. Assonanza e rima. 

Se Tassonanza fosse o no ricercata dai classici e quale ne fosse 
lo sviluppo non è questo il luogo di occuparmene *. 

L'assonanza è la rima in embrione, quella è prodotto spontaneo 
della nuova poesia, questa è effetto di studio e di artifizio; l'asso- 
nanza può trovarsi tra le ultime sillabe atone aventi le stesse vocali^ 
sebbene siano differenti le consonanti, la rima invece richiede ugua- 
glianza di vocali e di consonanti ; Tuna e l'altra può aversi tra le 
ultime sillabe : o fra le due ultime o fra le tre ultime^ e sarà quindi 
monosillaba o monorima, bisillaba o trisillaba '. La rima però, che 
ebbe presto gran voga tra i popoli settentrionali, si trova pura in 
Italia solo verso il sec. X '. 

1. Negli esametri sono ben rari i casi di assonanza. Si nota 
fra un emistichio e Taltro, tra la fine di un verso e quella dell'altro 
nei seguenti: 

Christe Deus mundi, 

V. 2. Noctis tu tenebro^ illustrans detegis Atras. 
» 4. Yitam dignanter tributa sine fine beati». 

Sit tibi sancta phcUanx. 

V. 3. Sint procul urticae, sentes tribulique maligni. 

Ut bene proscindi possit de vomere verbi. 
» 6. Ferro et multiplicem parvo de semine mess^m. 
» 9. Ne male durato^ spemant pia germina gleboe. 
» 11. Diripiunt rostri», absint praedura lapilli». 

2. Nei distici: 
Adam per lignum, 

Adam per lignum mortdm deduxit in orb^m, 
Per lignum pepulit Christus ab orbe nec^m. 

Crux tua rex regum Christe, hoc tueatur orile 
Ne leo crudelis carperò possit ove». 



1 Mùller, op. Cm 40 sgg. — WOUfllin, Der Reim im lat^neischén in Archiv I, 350 sgg.. — 

Ronca, Metr. e Rilm. I, liS sgg.. Cultura ecc. I, 341 sgg. — Meyer, Anfang und Ursprung. 

9 Waldcmar Masing, Ueber Ursprung und Verbreitung des Reimes^ Dorpart, 1866, p. 15-7 •— 

VOilfltn, ArcMv ecc. ili, p. 1-S8 — Ronca, Cultura ecc. I, 1. e. 3 Roncfi, op. e, 200 e 348 sgg. 



— 61 - 
Uic decus Italiae. 

V. 5. Hic mare per medium gentem compressit euntem 

Et victis pariter terra negavit opem. 
» 7. Sobrius, armipote^w, castus, moderamine poììens. 

Hoc satus in viridi, 

» 2. Pulchrior en lacte candidiorque nive. 
» 4. Qui metet ostrifluo^ falce perenne roso^. 
> 7. Livida purpurew vaccinia cincta roset». 
» 13. Haud secus emicuìt gracilis infantia nati 

Quem pater omnipotens misit ad astra poli. 
» 17. Heu genitrici^ huius violavit gaudia lucts 

Decoxitque sati8 pectus adusta face. 
» 19. Sola sed inde manet felix fiducia spet. 

Quod talis caeh' spiritus astra petiY. 
» 39. Bissenosque pnvs menses quam volvent amivs 
» 41. Hoc niveum sacra praeliba munus in ara. 
» 46. Adsociare Bxxis yocibus Illa sacr». 

Olim Romulea. 

» 16. Omnibus Ecclesii« iussit ubique sacrùr. 
» 18. Et status Ecclesia^ luxit ubique sacroe. 

Multa legit paucis, 

Y. 3. Sic una ex multts nunc fiat Ecclesia templi». 

Quid fatis liceat non presenta assonanze. 
3. Nei Distici reciproci: 

Dulcis amice veni. 

» 4. Scande, benigne, fovea, finge, maligne pedes. 

» 5. Pone supercilium, hosp w,qui haec quoque limina scandii 

DiUcis amice, bibe. 

» 3. Fercula sumo libens adlata ex viscere cervi, 

Si non Acteonis mors sit a cerva tibi. 
» 12. Si non scindarw unguibus accipitrù. 

» 17. Si tua perpetutw non claudat lumina somnt*». 



— 62 — 
Sjìonsa decora Dei. 

> 5. lubilat bine Domino sanctorum coetos in astri^ 

Plebs nostra in term jubilat bine Domino. 

> 13. Regpia poli cupiens patriam cum fratre reliquia 

Casinom petite regna poli eapien«. 

> 57. Transierat triduum post eius ab inde digressum, 

Post istad signum transierat tridaum^. 
» 69. Vidimos hic homin«8 ereptos daemone ^ìures 
Insanos ssluos vidimos hic hominem. 

Questa elegia abbonda di assonanze. 
Haec domus est Domini. 

Haec domus est Domini et sacri janua regni 
Huic properate viri haec domus est Domini, etc. 

Nei distici dunque l'assonanza è più frequente che negli esa- 
metri, ma non in tutti; spesso è tra un emistichio e l'altro, talvolta 
tra la fine d' un verso e quella di un altro ; prevale l'assonanza di 
parole che terminano ìn-is, -es o altra vocale con s; insomma più 
che un' assonanza, è una vera monorima. 

4. L'assonanza però si vede più sistematica nei ritmi alfabetici^ 
nei quali i versi rimano combaciati, alterni e talvolta senza ordine 
di sorta. 

Ad flendos tuo». 

Str. 2. Bella sublimi^ inclita dividi»; 
Olim fùisti celsa edifi^iis 
Moenibus clara^ sed magìs innumeri^ 

Civium turmi8. etc. 

Aquarum meis. 

Str. 2. Bonus prò suis qui det vitam ovibìis 
Vix invenitur pastor bis tempori&t^^^ 
At mcrcenariia abundat oviZi9 

Septa sacrorum. etc. 



— 63 



Ad perennis vitae. 



Str. 1. Ad perennis vitae fontem et amoena pascua 
Praesul anxio qui corde scandere desiderai 
Talem se per omne tempus coret ut exliibea^ etc. 

5. Rime baciate abbiamo pure nella strofetta Salve, miles egregie. 
Nei due inni saffici osserviamo una grande differenza rispetto all'as- 
sonanza; poiché neir Ut queant laxiSj meno un caso di rima pura 

V. 2. Mira gestorum famuli tuorum, 

gli altri sono di assonanza, per lo più tra un emistichio e l'altro 
senza che si osservi ordine alcuno ; né in tutte le strofe, poiché, su 
quattordici, nove ne son fomite. Ma rima pura, e per lo più siste- 
matica, in gran parte tra un emistichio e Taltro, é in questo: 

Martir Mercuri, saeculi futuri 
Perpeti dona gloriae corona 
Qui tuam totiè venerantur votis 

Translationem. 

6. Neil' inno Quis possit ampio l'assonanza é abbastanza scarsa : 

Str. 1. V. 2. Digne fateris praemia Virginw 

» 3. Per quem vetemae sub laqueo necù. 

» 3. » 1. Hausto maligni primus ut cecidio 

> 2. Virus cclidri terrigenum paren^, 

» 3. Hinc lapsa pestis per genus irrepens 

» 4. Cunctum proflindo vulnere perenti^ 

» 4. » 3. His forre mortw crimine l.'inguido 

» 4. Mandat saluta gaudia saeculo 

» 5. » 1. Missus ab astris Gabriel in nube 

» 3. Verbo tumescit latior aethere. 

Fin qui delle poesie dubbie. Vediamo ora che ci presenta la 
metrica nelle poesie di Paolo Diacono. 



vili. 



Là METRICA NELLE POESIE DI PÀOLO DIACONO 



In questo esame seguiremo lo stesso metodo di prima. Comin- 
ciamo dagli esametri. 

1. Esametri. 

AenuUa RomvXeis. 

V. 13. CathoUc^wB princeps Arichis, tajn corporc pulchcr. 

Il primo piede è un tribraco. 

V. 32. Corda tibi ut relevata bonis spe et fideque redundent. 

Questo verso^ come sta, eccede ogni metro^ perciò parmi accet- 
tabile, secondo che vedremo in appendice^ la lezione del Traube : 

Corde tibi ut relevata boni spes rite redundet. 

Esso presenta nel quinto piede un bacchio, che^ come dicemmo, 
si giustifica, considerando, secondo la nuova prosodia^ che V e, sia 
pure finale di avverbi o di ablativi della quinta declinazione, è 
considerata come breve '. 



1 Mùller, op. o., 3i0. 



— 65 - 

In Christe aalus utriusque nessuna irregolarità. 
Una speciale correttezza ed una delicata armonia spira in gene- 
rale dagli esametri deirepitaffio Lactea splendiflco. 

Cyntius occidtuis. 

V. 22. Ardua divino nitidoque ful^fes in horto. 

Il quinto piede regolarmente è un bacchio, ma numerosissimi 
sono gli esempi di sillabe chiuse, lunghe nell'età classica, che si 
abbreviano dopo '. 

Candidolum bifido, 

V. 21. Keplero et denso* suavi modulamine silvas. 
Dobbiamo ammettere in stiavi la sinizesi perchè il verso tomi. 

V. 27. Mortuus est quisquis de spe titubando fepescit. 

Nel quinto piede può aversi il dattilo, considerando breve Va di 
titvòando (v. sopra). 

V. 43. Vatibus antiquis parva haec dissolve non impar. 

. 
Il quinto piede è regolarmente un eretico, se non si pensa che 
^ non è qui in tesi. 

Hic ego qiuze jaceo, 
V. 8. Troiano Anschisa potens, qui ducit ab ilio. 

C è riato fra Troiano e Anschisa. 

Qui sacra vivaci, 

V. 4. Urbs pracclara virisj, seu quis has primus ad otùA* 

Nel quarto piede quis può considerarsi come sillaba langat 
perchè Taccento grammaticale coincide coir ictus. 



1 Ronca, Metrica ecc.; I, 93. 



— 6G — 
V. G. Aìmìflm sollcrs de vero oriente tìd^st. 

Il secondo piede^ o si consideri V uè di cUmiflue come due sii* 
labe o come una sola per sinizesi, è sempre irregolare. L'ultimo 
piede è formato dall' et di fidei, che è un giambo giustificabile solo 
nel caso che si volesse leggere ftdéi per analogia con diéi, 

V. 9. Quae caput orbis erat, ad moenia finibus omni. 

Il terzo piede, che è un giambo, può considerarsi come spondeo 
per la cesura che cade dopo erat (v. sopra). 

V. 47. Splenduit Arnnìfus dehinc ampia luce beatus. 

Perchè questo verso sia regolare dobbiamo supporre un abbre- 
viamento della seconda sillaba in dehinc. 

V. 45. Hinc fuit ^r;ioaZdus manans a stirpe Sycambra. 

Anche qui bisogna ammettere la sinizesi nel secondo piede. 

Jam fluebat declina. 

Jam fluehRt decima de mense diecula lani. 

Il primo piede, se vuol essere dattilo, bisogna che abbrevii 
r 6 di fluebat^ come avvenne per la terza persona plurale del perfetto 
indicativo * ; o che si ricorra ad una sinizesi. 

Negli altri esametri di Ampia mihi vestro non incontriamo irre- 
golarità. Anche in questi esametri la cesura ordinaria è la pente- 
mimeri, di rado la eftemimeri con la tritemimeri, p. es. nei vv. 1 
o 4 di Christe salus utriusque, nei vv. 3 e 25 dell'epitaffio Lactea 
splendi fico j nel v. 34 di Candidolum bifido ed in altri pochi. Non 
parmi di avervi mai trovate parole troppo lunghe e filze di mono- 
sillabi. L'accento grammaticale quasi sempre discorde dal metrico, 
ma costantemente d'accordo nel quinto e sesto piede. Nel quinto 
piede è costante il dattilo, meno quelle poche irregolarità notate 
qua e là. L'esametro di Paolo ha nel primo piede più volte il dattilo 



1 Édon, Ecriture e Pronone, du latin savant et du latin popul.^ Paris, 1882, p. S33. Cfr. 
Ronca, Metrica, ecc. I, 50. 



— 67 — 



che lo spondeo e spesso i primi due piedi sono dattili. Se ne togli 
le pochissime irregolarità notate, quasi tutte giustificabili del resto, 
la metrica non avrà, molto a lamentarsi di Paolo. 



2. Distici. 

Angustae vitae fìigiunf, 

V. 2. Claustrorum septis ner /loò/tare volunt. 

Il primo piede dopo la cesura ò un tribraco, giustificabile per 
la coincidenza deiraccento tonico e dell' ictus su nec. 

Roscida de lacrimU, 

V. 2. Te gemma micans, cara topina tenet. 

Il secondo piede del primo emistichio ha sillaba breve in arsi, 
quello del secondo ha V i di Sophia accentato e anch'esso in arsi. 

Verta tui famuli. 

V. 16. Privata est oculis iam prope flendo «uis. 
L' di flendo è anche qui abbreviato (v. sopra). 

V. 18. Nec est heu miseris qui ferat ullus opem 
Il primo piede è un giambo. 

V. 19. Conjunx est fratris v^bus ea;clusa patemis. 
L' -U8 di rebus^ per natura breve, è nell'arsi del quarto piede. 
Sic ego suscepi. 

V. 2. Ceu i>eiradi8eo culmine missa forent. 

Il secondo piede per se è un trocheo^ non giustificabile altri- 
menti che leggendo paradiséo, 

V. 4. Terruemnt animum fortia vcrba meum. 



— 68 — 

Perchè il verso tomi bisogna leggere terriierunt, secondo la 
pronunzia volgare e non priva di esempi classici : stéterunt^ tUleruntj 
contigerunt *. 

lam puto nervosis. 

V. 10. Inclitus atqne potens, quod mones ipse cave. 

Si ha qui un eretico, se non si considera breve V-es di mones 
in tesi. 

In Ingenio darus nessuna irregolarità come nessuna in Pei*- 
petiuUis amor. 

Aurea qìiae fulvis. 

V. 9. Cuius haut tenerum possint acquare decorem. 
C è dieresi in haut. 

V. ÌO. Sardonix Parlo, lilla mixta rosis. 
Qui bisogna leggere Sardonix per Sdrdonix, 
Hoc tumulata jacet. 

v« 2. Addeid amne sacro quae voci tata fuit. 

C è sinizesi neirultima sillaba di Adeleid. 

In Hildegard rapuit subito^ in Ante suos refiuuSy in Aegrum 
fama fuit^ in Quaerebat moerens matrem^ in Temporibus priscis nulla 
di notevole. 

Lugentum lacrimis. 

V. 7. Stirpe ducum regumque satus ascenderat ipse. 
Il quarto piede è un giambo. 

V. 9. Formosus, validu^^ suavìs^ moderatus et acer. 
C è sinizesi in suavis. 



I É<luD, I. c. Cfr. Ronca, up. e, SO. 



— 69 — 

V. 15. Anteibsii iuvenes venatu, viribus, armis. 
C è sinizesi nella seconda sillaba del primo piedCi 

V. 43. Viderat uni?«r heu nuper funera nati. 
Il terzo piede è un giambo. 

V. 52. Prosit et huc sacro membra dedisse lari. 

Nel primo piede bisogna considerare ei per una sillaba sola 
e breve. 

3. Reciproci. 

Oi'diar unde tìtos. 

V. 41. Tu quoque, parve puer, raperì« nec occidis undis. 
Il quarto piede è irregolare, un trocheo per uno spondeo. 

V. 69. Fraudis, amice puer, siut&o captaris ab ydro. 
In suado e' è sinizesi. 

In Ordiar unde tuas non solo non si nota irregolarità, ma ele- 
ganza e dolcissima armonia. 

Le irregolarità nei distici sono dunque maggiori che negli esa- 
metri, ma non tali che non si possono giustificare. La cesura è 
sempre la pentemimeri, la quale fa sì che spesso vi si trovi una 
vocale breve per una lunga. I distici reciproci sono poi molto mi- 
gliori che nelle poesie dubbie e il primo emistichio deiresametro 
si è ripetuto scrupolosamente, mentre non è così nelle dubbie, come 
notammo. 

4. Dimetrl giambici. 

Una sola volta fa uso Paulo di questo verso, il quale però 
anche ha sentito il potente influsso della poesia ritmica. Paolo ne 
compone strofe tetrastiche per un inno a S. Benedetto. Il dimetro 
giambico ammette lo spondeo nelle sedi dispari, ma vuole il giambo 
nelle pari. 



~ 70 - 

Paolo solo nove volte conserva puro il giambo nella prima sede, 
su sessantaquattro diraetri; sostituisce un trocheo nel v. 5, nei 
rimanenti sono tutti spondei. 

Nella seconda sede una sola volta sostituisce un pirrichio (Str. 
14, V. 2) e conserva puri i giambi in tutti gli altri. 

Nella terza sede solo tredici giambi conserva, vi si trovano due 
trochei (Str. 4^ v. 3, Str. 10, 4), gli altri spondei. 

Nella quarta sede ventisei giambi e gli altri pirrichì. Sicché, 
in fin dei conti, possiamo dire che Paolo, anche in questo breve 
verso, ha cercato di attenersi alle leggi della metrica classica; e, 
come già notammo, V ictus non sempre coincide coir accento tonico. 
Se così fosse, noi dovremmo avere sempre una parola sdrucciola 
alla fine di ogni dimetro, appunto per la chiusa eretica o dattilica 
del dimetro giambico, ed invece abbiamo spesso parole bisillabe, 
le quali naturalmente sono piane. Non possiamo però negare che 
maggiore è il numero dei versi sdruccioli; la qual cosa ci mostra 
sempre più T influenza della ritmica anche in colui che voleva 
essere fedele alla tradizione classica. Infine e' é una strofetta pen- 
tastica di adonii raddoppiati: 

Utere felix munere Ghristi 
Pluribus annis, lux decusque 
Magne tuorum. Carole princeps, 
Atque togatae arbiter orbis 
Dardanidaeque gloria gentis. 

Questi sdoppiati darebbero luogo a due strofette pentastiche 
di adonii scempii; come del resto fa Alenino una volta sola. 



Èl Assonanza e rima — Tetrametri. 



Qual parte ebbero nella poesia paolinà l'assonanza e la rima? 
Paolo era figlio dei suoi tempi, e, come tale, nonostante tutta la 
sua buona volontà di attenersi quanto più potesse ai modelli clas- 
sici, nonostante lo studio diligente di questi, come vedemmo dai 
raflftronti, nonostante il risorgimento degli studi classici, di cui egli 
era magna pars^ tuttavia non potò opporsi alla corrente allora 
impetuosamente dilagante. 



— 71 — 

1. Negli esametri notiamo: 

Aemula Romuleis. 

V. 1. Aemula Romulew consurgunt moenia templi, 

Ampia procul fessw visenda per aequora nautw ; 
Illa sed externw surapsere aucmenta rapina 
Et toto exuviw miserorum ex orbe petit/«. 

e continuano assonanze in - is. 

V. 11. Atque pharetrigcra€ ponentes tura Diana<?. 

iMct^ia splendi fico. 

V. 1. Lactea splendifìco quac fulget tumba metallo. 
» 5. Famosis mcritw dum stabunt tempia tonanti*. 

» (». Dum fiores term . . ? 

» 20. Occiduis quisquw venerandi culmina Petn 

» 21. Garganiamquc petw rupem venerabilis antri. 

» 25. Plura loqui invitam brevitas vetat improba linguam* 

Candidolum bifido. 

V. 2. Visus et restrictcw adii lustrante per occas. 
» 10. Imminet, et misero* discursat grando per agro*. 
» 21. Replere et denso* sua vi modulamine sii va*. 

Altre assonanze potrei notare negli esametri, ma, perchè non 
frequenti, stimo opportuno tralasciarle alla diligenza dello studioso, 
tanto più*che sono quasi tutte dello stesso genere. 

2. Faccio una breve rassegna dei diUici. 

Angustae vitae. 

1. Angustae vitae fvigìunt consortia Musae 
Claustrorum septis nec habitare voluìit. 
Per rosulenta magis cupiunt sed ludere prata 
Pauperiem fngìunt deliciasque còìunt. 
5. Quapropter nobis aversae terga dedcrunt. 

Et comitem sperni^nf me vocitare sumwi. 
10. Percara si non tecum captare per aevum. 



— 72 — 
lioscida de lacrimis. 

V. 3. Tu decus omne tuw 

Qua non his tcrm ........ 

» 5. Heu fueras tener^'^^ dulcì«, tam docta sub anni«. 

3. E si potrebbero citare ancora altri esempi. Ma dove l'asso- 
nanza domina è nei reciproci, 

V. 1. Ordiar unde tuo«, sacer o Benedicte, triumpho» 
Virtutum cumulo* ordiar unde tuo«.^ 

V. 31. Lenia flagra vagam sistunt moderamine ment^m 
Excludunt pestem lenia flagra vagawi. 
43. Perfida corda gemunt stimulis agitata maligni» 
Tartareis flammw perfida corda gemunt. 

E non solo fra gli emistichii, ma anche alla fine dei versi 
troviamo frequenti assonanze sistematicamente ordinate. 

V. 3. Euge beate pater! meritum qui nomine prodi« 
» 6. Astra ferens mundo, Nursia, plaude sat/« 
» 8. Exuperansque senes, o puerile decus l 
» 9. Hos, paradise, tuus despexit florida mundi. 

Sprevit opes Romae flos, paradise, tuu«. 
» 11. Vas paedagoga tulit diremptum pectore tristi 

Laeta reformatum vas paedagoga tuli^. 
» 13. Urbe vocamen habens tyronem cautibus abd/f. 

Ordiar unde tuas, 

V. 1. Ordiar unde tuas laude», o maxime Lari, 

Munificas dotes ordiar unde tum. 
Cornua panda tibi sunt instar vertice tauri. 
» 5. Muncra magna vehi» divinis divcs asyl/«, 

Regificis mensi« munera magna vehi». 
» 7. Cinctus oliviferi« utroque es margine siivi* 

Nunquam fronde care» cinctus oliviferi». 

4. Nei dimetri giambici l'assonanza è più regolare e talvolta 
abbraccia anche le due ultime sillabe. 



— 73 — 

Fratres àlacri pectore. 

Str. 4. Miracnlorum praepote/w 
Afflatas alti flamine 
Kesplendoìt prodigiis 
Ventura saeculo praecin^n». 
> 5. Laturos estun -phxribua 

Panis reformat yasciUum 
Artum petens ergastuZum 
Extinxit ignes ìgnibus. 

Tralascio per brevità altri esempi. 

5. Che dire dei tetrametri trocaici f Ognuno facilmente compren- 
derà che questi, 1 quali primi subirono l'influsso della ritmica, 
dovevano abbondare di siff'atti ornamenti. Tuttavia notiamo che in 
in questi V assonanza è meno ordinata che in quelli delle poesie dubbie. 

A principio saeculorum. 

Str. 1. A principio saeculort^m usque ad diluvium 
Duocenti quadraginta duo bina millia 
Evoluta supputantur annorum curricula. 
9 4. Legìs datae a diebus et conseriptae caelitu« 

Usque quo templimi dicavit rex sapientissimi^^ 
Quadrìngenti octoginta orbes evoluti sunt. 

Sic ego sìiscepi. 

Str. 3. Totum hoc in meam cerno prolatum miseriam; 
Totum hoc in mewm caput dictum per ironiam 
Heu laudibus deridor et cachinnis opprimer. 

Riassumendo quanto abbiamo veduto nelle poesie dubbie e nelle 
genuine di Paolo, possiamo con fondamento congetturare : a) Delle 
poesie dubbie possono attribuirsi a Paolo quelle che meno peccano 
contro le leggi metriche, di cui questi si mostra scrupoloso, tenuto 
conto dei tempi in cui scriveva; b) negli esametri, fatta la debita 
proporzione, la metrica, sia nelle dubbie che nelle genuine, è più 
osservata che altrove; e) nei distici delle poesie dubbie la metrica 
è dove più, dove meno osservata e i difetti non sempre scusabili; 



— 74 — 

lo stesso possiamo dire dei distici reciproci, ma nelle poesie g^enuine 
i difetti sono minori e quasi sempre giustificabili; d) nei dimetri 
giambici delle dubbie è maggiore T inosservanza della metrica; 
e) nei metri non comuni non possiamo stabilire paragoni e vale 
per essi la prima di queste conclusioni; f) in generale possiamo 
ritenere di Paolo quelle poesie che non presentano rima abbondante 
né progredita. 




IX. 



VITA DI PAOLO DIACONO 



1. 




LI argomenti finora ricavati dallo studio delle poesie dubbie 
e genuine sono, a dir vero, poco saldi, perchè d' indole 
piuttosto generale. È necessario dunque ricorrere alla storia 
e specialmente allo studio della vita di Paolo Diacono per 
poter giungere ad una conclusione, se non certa assolutamente, almeno 
probabile. 

Ma, prima di addentrarci in siffatto studio, credo necessario 
dire qualche cosa intorno a quarantuno versi, che portano il ti- 
tolo di Epitaphium Pauli Diaconi^ di cui è autore un tale Ilderico; 
stabilirne il valore storico, la data della composizione. 

Chi era Ilderico? Pietro Diacono nel cap. IV del De viris 
illustribua Casinensibus * ce lo dice monaco e discepolo di Paolo; 
sicché possiamo congetturare eh' egli ben presto entrò nel chiostro 
e vi fu a scuola del nostro Paolo ', la quale a quei tempi dovette 
essere ben fiorente, se Stefano II, Vescovo di Napoli, vi mandava 



1 Muratori, Rer. It. SS. VI, Si — Mignc, Patrol. Lat. 173, p. 1019. S Giesebrechl 

L*ittru3. in It. net primi sec. dei M. lì. (Irati. Paschal/, p. 78 — dovali, SI. leti. d'Italia. 



U^ 



— 76 — 

suoi chierici ad istruirsi in sticre e in profane discipline *. Ilderico 
dunque fu discepolo di Paolo Diacono e, venuto su negli anni, nella 
perfezione della vita monastica, negli studi, fu eletto abate di Mon- 
tecassino Tanno 834; ma il suo governo fu di soli 43 giorni, secondo 
il Tosti *, poco più poco meno secondo il Cara vita ^ e il Gattula ^ 

Ilderico monaco, abate, discepolo di Paolo, quando pose al suo 
diletto maestro questo epitaffio? Forse egli lo scrisse poco dopo la 
morte di lui, quando nell'anima sua era scolpita ancor viva la cara 
e buona immagine di Paolo, quando ancor vivo era il dolore della 
sua perdita inestimabile. Ma nelTanno 799, o poco dopo, in cui 
comunemente si pone la morte di Paolo, come vedremo, egli era 
ancora giovane e monaco di poca autorità; poiché, come bene 
congettura il Grion *, non è molto probabile che ad un semplice 
ucofìto sia stato concesso di dedicare V epigrafe col proprio nome ; 
più verosimile sembra che lo scolaro, divenuto abate, abbia avuto, 
oltre la pietà, anche Tautorità di dedicare al celebre maestro una 
pietra segnandovi il proprio nome. La pietra dunque sarebbe stata 
posta nel quarto decennio del secolo nono, un quarant'anni poste- 
riore alla morte di Paolo. 

L' epitaffio è per la prima volta menzionato dall' Anonimo 
Salernitano nel Chronicoìi **, il quale dice di averlo visto coi propri 
occhi sulla tomba di Paolo in Montecassino. Ora l'anonimo visse 
nel secolo X, e verso la fine di esso (e. 978) scrisse il Chronicoìi 
in cui è la vita leggendaria di Paolo '; sicché al suo tempo la 
tomba di Paolo non era stata ancora manomessa. Egli dice fcap. 37) : 
« (Paulus) .... iam aetate maturus cxplovit huius vitae cursus, 
atque inibi in praedicto monasterio (Casinensi) . . . digno tumulo 
est humatus, atque super eius tumulum partim quae in hoc mundo 
gessit, partim de eius prudenciis, quove temporibus perdurasset 
sacris litteris exaratum invenimus. » Dalla traccia, che il Salernitano 
ci dà possiamo ben argomentare della verità delle sue parole ; poiché 
essa corrisponde perfettamente alle diverse parti dell' epitaffio. 

Leone Ostiense, vissuto nella seconda metà del secolo XI e nei 
primi del XH *, dice che Paolo mori « jam aetate maturus * e che 



1 Gesta epp. Neap. e. 49 in M. O. H., SS. Rer. Lang. et It. i33 sgg. % Tosll, Stor. di 
Montee. I, 47. 3 / Codd. e le arti a Montec. 1869, I, 81. 4 Hist. Bibl. Cos. I, 69. 

5 Della vita di P. D., Storico dei Long. Udine, 1899. 6 M. G. H., SS. Ili; v. Pref., p. 467. 
7 Galligaris G. Di alcune fonti per la vita di P. D. 1899, p. 7. sgg. 8 M. G. H. (Perz) SS. VII. 
Chronica monaaterìi Caainensis, auctore Leont»; cfr. Balzani U., Le cronache italiane nel 
M. E. Milano, Hoepli, 188i, p. 149 sgg. 



— Ti- 
fa sepolto « in claostro monasterii juxti capitulum » ; ma non fa nes- 
suna menzione dell' epitaffio, forse perchè non più esisteva al suo 
posto perchè non lo credeva degno di menzione. 

Pietro Diacono, già ricordato, monaco cassinese, nell'opera e 
nel luogo citato dice: < Hildericus ejusdem Pauli Diaconi auditor, 
de origine praeoeptoris sui, vita, institutione, doctrina, religione, 
habitu, lucidissimos versus composuit. » In queste parole^ come 
si vede, è ripetuto un po' più particolareggiato lo schema del 
Salernitano. Onde può argomentarsi che Pietro non aveva letto 
alla sfuggita quei lucidissimos versus^ ma li aveva attentamente 
meditati sul codice, in cui erano trascritti. E, riguardo a questa 
trascrizione, alcuni dicono, come il Waitz *, dietro le osservazioni 
del Sickel e degli erudidi cassinesi ', che la trascrizione fu fatta 
alla fine del secolo XI; altri, come l'Amelli in una lettera al 
Prof. Calligaris, che alla fine del secolo X l' epitaffio fu inserito 
nel codice, che ora è segnato col numero 175, da mano ignota in un 
foglio rimasto bianco ^ ; e il Bethmann ^ opina che la stessa mano, 
la quale trascrisse il codice (allora segnato col numero 353) v' inseii 
pure l'epitaffio, attribuendo tutto alla metà del secolo X. Fu pub- 
blicato per le stampe la prima volta in Roma dal Mari (1655), il 
quale, annotando il cap. Vili del De viris iUtistrìbus di Pietro 
Diacono, dice: e Extat epitaphium Pauli Diaconi verslbus exomatum 
ab Ilderico monaco et abate Casinensi, discipulo praedicti Pauli: 
quod tibi, singulari humanitate V. CI. Caroli Borrelli, Cler. Regul. 
Minor, nobis suppeditatum, ex antiquo ms. cod. sign. 256 Biblioth. 
Casinensi depromptum, nunc primum in lucem damus. » L'epitaffio 
fu ripubblicato molte volte ancora dal Muratori *, dal Mabillon *, 
dal Gattula \ dal Liruti ', dal Migne % dal Dahn '\ Dal Waitz ", 
dal Dtimmler '^. Tale è la storia dell'epitaffio dalla quale, se si 
pone mente ai dotti e valorosi critici che se ne sono occupati, 
possiamo rilevare di quanta importanza storica esso è per la vita 
dello scrittore. Si eccettui il Lebeuf '^, che non ne fa menzione 
affatto, e il Dahn che col suo ipercriticismo, tendendo alla distru- 
zione, fa altrettanto dell' epitaffio, parlandone in tal maniera: «Sein 



1 M. G. H. SS. Rer. Lang.^ S2*23, noia. fi BM, Cos. seu codicum manuaeriptorum^ qui 
in tabulario Caaittensi a^neì'vantur series. IV, 17. 3 Calligaris, Ancora di alcuna fonti ecc. t3 
4 Archiv, X, fi50, nota. 5 R. I. SS. I, 402. 6 Annales 0. S. B. II, in app. n. XXXV, 

716 B. 7 Hist. Bibl. Cas. 1, 26. 8 Notizie dflle vite ed opere dei lett. del Friuli I, 180. 
9 Patrol. lat., 95, 4Ì9-30. 10 Op. e. 103. Il M. G. H., SS. Rer. Lang., Praef. H. L. 

12 PoOl. lai. 1, 83. 13 Dissertution sur V hist. de Paria. Lambert et Durand. 



— 78 — 

(angeblìcher) Schtiler Hildrick ... in der Grabschrift, die er ihm 
(angeblich) setzt » (op. e. p. 1) e poi neirappendice lo pubblica con 
questo titolo : « Hildrìcks angcbliche Grabschrift ftir Paulus » (p. 103). 

2. 
Epitaphlam Paull Diaconi ^ 

Perspicua clarum nimium cum fama per aevum*,' 
Astra simul iunctum pangant te coetibus almis*,* 
Veridicos levita tuos quis sunune triumphos'^* 
Lucifluis Paule poterit depromere dictis*/ 

5 Ut tua sed lector properans bue noscat et hospes*,' 
Sacrata tumulo requiescere membra sub isto*,* 
Laudis amandae tuae summatim cannine digpio*,' 
Almificos actus dignum est reserare canendo*,* 
Eximio dudum bardorum stemmate gentis*,* 

10 Viribus atque armis quae tunc opibusque per orbem*,' 
Insignis fiierat sumpsisti generis ortum*^* 
Tam digna est postquam nitidos ubi sepe Timabus*,* 
Amnis habet cursus genitus tu prole fiiisti',* 
Divino instinctu regalis protinus aula*,* 

15 Ob decus et lumen patriae te sumpsit alendum*,* 
Cum tua post tìbidem populis et regibus altis*,* 
Tunc placida cunctis vita studiumque maneret*,* 
Omnia sophiae coepisti culmina sacrae*,* 
Rege monente pio Ratchis penetrare decenter*,* 

20 Plurima captasses dignae cum dogmata cuius*,* 
Resplendens cunctos superis ut phoebus ab astris*,* 
Arctoas rutilo decorasti lumino gentes'^* 
Haec sin iam nimium fluidi cum gloria saecli*,* 
Condignis ditaret ovans te sedule gazis*^* 

25 Lucis ob aetemae vitam sine fine beatam*,' 
Audacter sprevisti huius devotus honores*,* 
Kegis et immensi fretus piotate polorum*,* 
Vernanti bue domino properasti pectore Christo*,* 
Subdita colla dare Benedicti ad septa beati',* 



1 L' epilaflìo fu da me irascrillu ncll' archivio Gassiness dal cod. 17S, p. 579. 



— TO- 
SO Exemplis mox compta toìs ubi contio sacra*/ 
Tom jubar ut fulgens coepit radiare coruscis',* 
In te nam pietas iugiter dilectio dulcis*/ 
Simplicitas sollers nimium concordia summa%' 
35 Omne simulque bonum semper venerandae manebat*," 
Nane ideo coeli te gemmea regna retentant*,* 
Sideream retines pariter per saecula coronam*/ 



* * 



Hoc tibi posco sacer gratum sit Carmen honoris*, • 
Hilderic cn cecini quod lacrimando tuas*,* 
40 Quem requiem captare tuis fac queso perennem*,* 
Sacratis precibus semper amande pater*,* 

Questo è r epitaffio quale si legge nel codice. Molte sono le 
varianti proposte da diversi interpreti di esso, e io le verrò notando 
di mano in mano. Ora dividendolo in più parti, lo verrò traducendo 
e commentando. 



3. 



Introduzione. 



vv. 1-8 « Mentre una gloriosa fama nel tempo e gli astri cele- 
brano te assai illustre, congiunto con le angeliche schi(*.re, o levita, 
o sommo Paolo ; chi potrà cantare i tuoi veri trionfi con splendide 
parole? Ma affinchè il lettore ed ospite, venendo quassù, conosca 
che sotto questo tumulo riposano le tue sacre membra, conviene, 
per sommi capi, fargli conoscere in degni versi almiflcos actvs 
deiramabile tua lode. > Qui nient' altro abbiamo a notare che la 
gloria meravigliosa lasciata da Paolo dietro di sé. Al v. 4 Mari, 
Muratori, Migne, Dahn leggono potuit invece di poterit; al v. 5 Ma- 
billon, Muratori, Liruti, Dahn leggono stia per tua; al v. 6 Mari, 
Mabillon, Liruti, Dahn sacrato per sacrata. Ma, a dir vero, io non 
veggo la ragione di queste varianti, mentre il codice per se stesso 
è chiaro; e, posto che ragioni vi sono, quelle niente conferiscono 
al valore storico del documento. 



- 80 — 



4. 

Nascita ed educazione di Paolo. 

vv. 9-15. « Tu sortisti i natali da una famiglia da gran tempo 
illustre della gente dei Bardi, la quale (gente) allora era insigne per 
potenza, per armi e per ricchezze nel mondo. Da sì degna stirpe 
dopoché tu nascesti, là dove il fiume Timavo ha continuo limpido 
corso, per divina disposizione tosto ti accolse la corte reale per 
allevarti a decoro e lustro della patria. » 

V. 12. Invece di Tarn digna est accettata dal Mari, Mabillon, 
Gattula, Dahn, Muratori, Migne, Liruti, espunsero est il Vaitz e il 
Dtlmmler, facendo concordare con prole del v. 13 il digna. Ma 
« forse non si tratta — osserva il Calligaris ' — che della sostilu- 
zione di un est, eh' è nel codice, invece di un e< che può stare 
benissimo e con senso ». Ed io lascerei et, che lega ottimamente col 
precedente, dicendo etpostquam ecc. D' altronde era facile al copista 
di scambiare est con et. E, facendo concordare digna con prole, tutta 
questa premessa ha intimo nesso logico con la sua conseguenza: Divino 
instinx^u regalis protinus aula ecc, E così pure vediamo che prole non 
resta inutile, come avverrebbe, se lasciassimo la lezione del codice 
tam digna est. Invece di Timabus, lezione accettata dal Waitz, dal 
Dttmmler, dal Calligaris, il Mari, il Mabillon, il Gattula, il Dahn, 
il Muratori, il Migne leggono Timavi. Ma non se ne vede la ragione. 
Al posto di sepe il Prof. Crivellucci ^ vorrebbe prope ; e davvero 
questa mi pare più adatta, mentre quel sepe è pressoché inutile; 
d' altra parte era facile al copista per la natura del prò abbre- 
viato, secondo la scrittura longobarda, scambiarlo con sepe, Eppoi 
il prope sta a dirci che presso il Timavo nacque Paolo (Vedremo 
quale sia questo luogo). Corretto così il testo, occupiamoci del si- 
gnificato di alcune parole. 

Al V. 9 é dudum, che nella latinità classica ha il significato di 
testé, poco fa, da qualche tempo, ma nel latino della decadenza non 
mancano esempi, in cui significa da gran tempo; e qui appunto sta 
in questo senso e modifica l'aggettivo eximio. Il Calligaris, che 



1 Ancora di alcune fonti ecc. 1901, p. 37. 2 Li alcun*: qitùftioni relative alla vita di 
Paolo Diacono, in Studi storici^ IX, 1900, p. 7. n. l. 



— 81 — 

nel 1899, aveva seguito il Dahn nella interpretazione di dudum, 
poi nel 1901 gli dà il significato di da lungo tempo confortandolo 
con un esempio tratto dai Titilli saeculi odavi ' : 

€ Morte sua dominus detraxit fauce draconis 
Praedam, quam dudum frangendo dente tenebat » 

Ma come interpreteremo stemmate f Neir interpretazione di questa 
parola è la risposta al quesito : di che famiglia fu Paolo? La parola 
stemma ha un doppio senso : il primo e più ovvio è quello di stirpe 
di famiglia, albero genealogico ecc., l'altro e meno comune è sino- 
nimo di gens =: razza. Io preferisco il primo col Calligaris *, anche 
perchè, rifletto, il discepolo di Paolo voleva far conoscere al lettore 
ed ospite, che giungeva sulla vetta di Montecassino, chi fosse il 
maestro e i suoi almiflcos actus. Ora, se i vv. 9-12 non parlassero 
di altro che del popolo a cui Paolo apparteneva, certo il lettore 
non avrebbe appreso che una notizia molto divulgata, troppo 
generica, e gli sarebbe sorto^ com' è naturale, il desiderio di sapere 
da qual famiglia provenisse questo illustre rampollo. Onde non è 
credibile che Ilderico, il quale doveva ben conoscere la genealogia 
di Paolo e forse l'aveva appresa in confidenza dalla bocca stessa 
del maestro, non volesse poi fame neppure un piccolo cenno nel- 
i'epitaf&o elogiativo^ che per sommi capi doveva riassumerne la vita. 

Da questo breve ragionamento e dagli esempi, che il Calligaris 
adduce^ parmi doversi accettare che stemma nell'epitaffio sta per 
stirpe di famiglia. 

Paolo ci dà ben poche notizie di sé e della sua famiglia. Egli 
nella Uist. Lang. (IV, 39), dopo aver narrato dell'invasione degli 
Avari in Italia, dice : e Exigit vero nunc locus, postposita generali 
historia, panca etiam privatim de mea^ qui haec scribo, genealogia 
retexere ; et quia res ita postulat paulo superius narrationis ordinem 
replicare >. E comincia la storia di sua famiglia, dicendo che l'abavo 
Leupichis venne in Italia dalla Pannonia insieme con gli altri Lon- 
gobardi: il quale^ morto dopo pochi anni, lasciò cinque figliuoli 
piccoli, che dagli Avari furono condotti schiavi (610). Di essi uno 
Leupichis, giunto alla virilità, riusci a scampare e, dopo varie vicende, 
a rivedere l' Italia : « Post aliquot dies Italiam ingressus ad domum 
in qua ortus fUerat pervenit. Quae ita deserta erat ut non solum 



1 PoOi. lat., I, 103. i Op. e. 1901, p. 17 nula. 



— 82 — 

tcctum non haberet, sed etiam rubis et sentibus piena erat ». Leupichis 
ricuperò la casa^ la riedificò, ma non potè riavere i terreni, passati 
già in dominio altrui. Questo proavo di Paolo generò V avo suo Ari- 
chis, il quale da Teodolinda generò Warnefrido, padre di Paolo e di 
Arichis, per la cui liberazione dalle prigioni di Carlo Magno il Poeta 
scrisse la supplica Verba tui famuli, in cui ricorda soavemente una 
vergine sorella, consacratasi a Cristo fin dai primi anni: 

< Est rnihi quae primis Christo sacrata sub annis. 

Excubat egregia simplicitate soror: 
Haec sub sorte pari lactum sino fine retentans. 

Privata est oculis iam prope flendo suis ». 

Altra testimonianza di sua famiglia ce la dà Paolo nello stesso carme: 

« Quantulacumque fuit, direpta est nostra suppellex 
Nec est, heu, miseris qui ferat ullus opern. 

Coniux est fratris rebus esclusa paternis, 

laraque sumus servis rusticitate pares. 

Nobilitas perii t miseris, successit egestas... ». 

« 

In un altro luogo della Ilist. Lang, (II, 9) parlando di Gisulfo, 
nipote di Alboino, che fu preposto alla prima provincia conquistata, 
cioè al Friuli con capitale Forum lulliy dice che volle seco, ed ebbe, 
« praecipuas Langobardorum prosapias » . 

L' Anonimo Salernitano dice solo che ebbe genitori non infimi, 
secondo la dignità del secolo (e. 9). Indi la tradizione della nobiltà 
di Paolo si è perpetuata fino al Dahn, che pel primo la mise in 
dubbio. Ma fu veramente di nobile famiglia Paolo? Stando a quello 
eh' egli stesso dice, non possiamo dare una risposta recisamente 
affermativa. Difatti, nulla possiamo ricavare di esplicito dal racconto 
del e. 39 della Hist. Lang,; ma, argouftntando indirettamente, pos- 
siamo dire che, §e Leupichis, tornato dalla schiavitù Avarica, trovò 
la sua casa diroccata e piena di rovi e di spine, mentre i terreni 
erano andati in possesso altrui, quella doveva essere nella città, e 
non nella campagna; perchè, se in questa fosse stata, da coloro 
eh' erano divenuti padroni delle terre paterne sarebbe stata adibita 
almeno per fienile o per stalla ; mentre stando in città, ognuno ben 
provvisto di abitazione, e fors' anche perchè la casa di Leupichis era 
rovinata dagli Avari, avevala lasciata in abbandono. Ma in città 
abitavano i nobili sia per difenderla dagli assalti, sia per formare 
la corte del duca ; dunc^ue possiamo concludere che anche Leupichis 



— 8:ì — 

ena, se non nobile, annoverato fra i nobili. Dico annoverato fra i 
nòbili e ne vedremo la ragione in seguito. I Longobardi guerrieri 
facevano lavorare la terra da servi e da coloni: essi invece dove- 
vano difendere e perciò abitare con loro famiglie i forti *. 

Pare che Paolo parli esplicitamente della nobiltà del suo casato 
nei vv. 9-11 del carme Verba tui famuli. Ma, se ben si riflette, 
troveremo che ivi non si parla se non della perdita delle sostanze 
con r imprigionamento del fratello Arichis. Infatti la parola nobi- 
lifas, come ben osserva il Dahn ', non è da prendere nel suo con- 
mune significato, perchè, osservata nel contesto, essa si oppone ad 
eyestas; quindi divenuti poveri i congiunti di Paolo, sono anche 
servi» rusticitafs pares; che, se fosse stiita nobiltà nel senso di 
aristocrazia di nascita, di quell'antica aristocrazia longobarda, le 
cui origini perdevansi nei miti, che la congiungevano agli eroi ed 
agli dei, non sarebbe certo perita con la perdita dei beni. Dunque 
da ciò resta provato che la famiglia di Paolo era annoverata fra 
i nobili, forse per egregie azioni compiute sui campi di battaglia, 
per cui nella divisione delle terre, dopo la conquista, ebbe anche 
la sua porzione, la sua casa. 

E che sia cosi ci vion confermato da quel che Paolo narra 
nelP //. L. (II, 9). Alboino , impadronitosi del Friuli, al suo 
primo arrivo in Italia, volendo procedere nella conquista, offriva la 
difesa di quella provincia al nipote Gisulfo, il quale volle seco 
praecipìias prosapia* e scelte cavalle. Al qual proposito osserva il 
Dahn ', che « a difesa della mal sicura provincia di confine il nuovo 
duca pretende il diritto di scegliersi tra gì' invasori i più idonei 
per numero e per valore — non proprio per nobile discendenza — 
di razza cospicua: questo ha un senso: popolare, per contrario, 
un' intera provincia di aristocrazia longobarda, per questo scopo 
tale aristocrazia non era numerosa abbastanza nò corrispondeva al 
disegno politico - militare del duca, né si conciliava col bisogno 
di tenere in serbo dei duchi per altri territorii che si dovevano 
conquistare. 

Ma, anche se praecipuus 6 lo stesso che nobilis^ non è da ritenere 
che ogni farà stanziata nel Friuli appartenesse agli scelti da Gisulfo : 
il mezzo ceto e i poveri non mancavano. Quindi non perciò solo che 
la farà di Leupichis era stanziata nel Friuli si deve ammettere che 
fosse nobile ». 



1 Zaiiullu. Paolo Diacono r il Monn^hisuw ecc. 39, n. 3. 2 Op. e, i. m'S. 3 Op. e, i. 



— 84 — 

Sembra dunque che il Dahn voglia far derivare la famiglia di 
Paolo dai servi, che tali erano e rimasero tali anche dopo la con- 
quista d' Italia. Ma noi, per le ragioni addotte, possiamo considerare 
gli antenati di Paolo già tra i nobili all'entrata dei Longobardi 
in Italia. Tutto questo valga a dichiarare le parole di Ilderico 
eximio dudum.., stemmate.,, digna... prole... che ci dicono qualcosa 
di piii che condizione servile e mezzo ceto. Possiamo dunque con- 
cludere col Calligaris ' che ^^ eximius e dignics (dell' epitalKo) ve- 
ramente non vogliono ancora dire nobilis: solo indicano eccellenza, 
distinzione. Ma da queste frasi al riconoscimento della nobiltà ò 
breve il passo ». La nobiltà della famiglia di Paolo era tra il mezzo 
ceto e l'alta aristocrazia, e fu acquistata per nobili gesta sì da 
arrivare ai più alti onori di corte, secondo il verso del citato carme: 



« Cu ni moilicis rebus cultnina redde simul », 

cioè culmina honorum^ secondo il Crivellucci *. Ma potrebbe dirsi 
che i culmina honorum avrebbero dovuto dare alla famiglia di Paolo 
anche un ricco censo ; il che non è espresso da quel quantulacum^ue 
ecc. Ma questa parola, secondo il tenore della supplica, non è da 
prendersi nel suo stretto senso; o, se così vuoisi, trova fondamento 
nel citato capo dell' //. L. , dove si dice: « Qui (Leupichis) 
postea consanguineorum et araicorum suorum muneribus doUitus 
et domum reaediticavit et uxorem duxit. Sed nihil de rebus, quas 
genitor suus habuerat, exclusus iam ab his qui eas invaserant longa 
et diuturna possessione, conquirere potuit » . Onde si può conget- 
turare che, posto pure aver i discendenti di Leupichis accumulate 
nuove ricchezze, queste non saranno mai state in tanti beni stabili, 
quanti ne aveva ricevuti Leupichis a tempo dell'invasione. 

Ci siamo finora troppo indugiati intorno alla condizione di 
Paolo, ma ecco che sorge un' altra quistione. Dov' è nato Paolo? 
L' epitaffio ce lo dice in modo vago, indican<lo la regione per il 
per il fiume^ che vi passa, il Timavo. Che egli fosse nato in Cividale 
del Friuli, l'antico Forum lulii, ò cosa quasi universalmente am- 
messa, eccetto dal Mabillon ^, che lo dice nato in Aquileia, e tra 
i moderni dal Dahn *, che lascia indeterminato il luogo di nascita, 



I Op. e. 1901, I». 30. i 0|). e, I* e, p. 18. 3 Manine, IX. p. iC6. i Op. e, 8. 



— 85 — 

dicendolo nato nel territorio friulano. Interroghiamone Paolo stesso. 
Questi nel capo citato dell' H. L, dice, che (Leupichis) « ad domum 
in qua ortus fuerat pervenit». Ma noi abbiamo già dimostrato che 
Paolo era annoverato fra i nobili e che questi abitavano in città. 
Dunque in città e non nel territorio fìriulano nacque Paolo. Ma la 
città, capoluogo del Friuli, dove risiedeva il duca, non era che 
Forogiulio (Cividale) \ dove anche si rifugiarono quanti Friulani 
poterono per resistere contro gli Avari e donde questi portarono 
via i Agli di Leupichis '. Dunque di Cividale dobbiamo credere 
nativo il nostro Paolo e non d' altra città. 

Aggiungi le testimonianze dell' anonimo Salernitano « qui ortus 
fuerat ex Forojulanensis civitas » ^; del Muratori, che nel capitolo 
citato del libro IV dell' H. L. vede chiaramente indicato per luogo 
d' origine Cividale *, citando anche Erchemperto; del Liruti; * del 
Tiraboschi'; del Cantù'; del Tosti*: del Balbo ': del Grion »^ 
del Bethmann**; del Waitz '*; del Diimmler*^: del Calligaris *^ ; 
del Crivellucci ** ; ecc. Ma 1' epitaffio sembra che voglia piuttosto 
alludere ad Aquileia che a Cividale, perchè il Timavo scorre ap- 
punto fra Aquileia e Trieste. Ciò non ostante, facciamo osservare 
col Grion ** : « il verseggiatore Ilderico, presunto discepolo di Paolo, 
anche sapendo il suo maestro nativo della città, preferì far cono- 
scere la regione natale dal fiume più celebre della provincia e unico 
decantato dai poeti classici, a quel modo che il Manzoni disse: 
di quel securo il fulmine scoppiò da Scilla al Danai; perchè il Danai, 
e non il Moscova, è il fiume dell' Europa orientale dei classici, e 
nessuno pensa che Napoleone abbia guerreggiato sul Danai». Né 
dobbiamo pretendere in un epitaffio esattezza di notizie come in 
una storia. Da questo appare chiaro di quanto poco peso sia la 
critica del Dahn. 

Paolo dunque è Cividalese e di Cividale egli ben conosce la 
storia, i luoghi della città e del contado, come può vedersi spe- 
cialmente nel V e VI libro dell' //. L. 

Altro punto di forte controversia tra i critici è l'anno di na- 
scita. Il Dahn *' la pone nel 725, gli altri oscillano tra il 720 e il 



1 Hiat. Long. Il, «. % Ibid. lY, 38, 39. 3 Chronicon Salem, e. 9. 4 RR. 1. SS., 
T. I. 5. Op. e, I, 164. Nat. friulane, I, 426. 6 Stor. ìett. iL VI, 67. 7 St. Univ. V, 1»8. 
8 Slor. Bad. Montee. 1. 9 L* Italia sotto i barbari^ 307; Il reyno di Carlo Magno, 86. 

10 Op. e. 14. 11 Archiv. X, «55. 12 M. G. H. SS. Rer. Long. p. 12. 13 PoOt. lat. I, «7. 
li Op. e, 1901, p. 37. !.•» Op. e, 7. 16 Op. e. 32-33. 17 Op. e, 8. 



— 86 — 

il 730. Ma il Grion ' pel primo la pone nel 714 o 15, e la sua opi- 
nione trovò seguace il De Santi ', che la difende strenuamente. 

Vediamo dunque quale di queste date si debba accettare, 
ricostruendola dalle testimonianze che Paolo stesso ci dà e da quello 
di altri che con lui ebbero relazione. L' epitaffio non ne fa cenno. 
Paolo, circa il 785 ' si trovava alla corte di Carlo Magno e con lui 
Pietro da Pisa ed Alenino. Noi vedemmo il carattere di questa 
corte e con quanto entusiasmo vi fosse accolto Paolo. Esponemmo 
il ritmo elogiativo (Noe dicamus) diretto a Paolo e la risposta di 
questo: (Sensi cuivs). In questa egli si umilia tanto da parere uno 
scimunito e conchiude: 

« Sed omnino ne linguarum dicam esse nescius, 
Pauca mihi quae fueruot tradita puerulo, 
Dicam : caetera fugerunt iam gravante senio. » 

Se in questa poesia non può prendersi tutto nel suo vero senso, 
dato il tono scherzevole di essa, non possiamo dire altrettanto di 
questa strofe. Poiché, se nelle altre si abbassa tanto, in questa egli 
vuol dare un saggio della sua dottrina linguistica, aggiungendo la 
versione in distici latini di un epigramma greco : De puero qui in 
giade exUnctus est. E, se si deve prendere sul serio quel che egli 
dice neir ultima strofe, a maggior ragione dobbiamo accettare 
r emistichio iam, gravante senio nel suo vero senso. Perchè egli non 
aveva nessuna ragione di dirsi aggravato dagli anni, mentre non era. 
Ma, posto pure che Paolo volesse esagerare i suoi anni, ab- 
biamo un altro carme di Alenino, a nome di Carlo diretto a Paolo *, 
nel quale si dice: 

« Nunc tibi destra senex elanguìt eflfeta belli. 
Leva capat supra aut acuta levare nequit. 



Tardas in annoso tabescit corpore sanguis. 
Cor tibi frigidius laudis amore caret ». 

E Pietro da Pisa conclude un altro carme * dicendo : 
Qui nostram dapibus nutrii refìcitque sincctam ». 



1 Op. e, 5. 8 Civ. Catt,: Ser. 11, voi. 0, p. 423 sgg. 3 Vedremo in seguilo quando 
Paolo andò in Francia. 4 PoOt lat. I, p. 11. St dubita se qursio sia di Alcuino; cfr. Uauch, 
Kirehengesch. DeutscMands, II, 150; Dùmmler, N. A. XVII, 101. 3 Poei. lat. I, 52. 



— 87 — 

Se Paolo si dice aggravato dagli anni (iam gravante senio); so 
Alenino gli dice, bensì scherzosamente, che a lui vecchio il sangue 
tabeadt in annoso corpore; se Pietro da Pisa ricorda a Paolo che 
la loro vecchiaia è sostentata e ricreata da Carlo, e tutto ciò verso 
il 785; possiamo noi dire che Paolo allora non avesse più di 50 o 
60 anni, come vorrebbe il Dahn? Nessuno è che si chiami vecchio 
a 60 anni e molto meno a 50 e 55. Adunque possiamo escludere 
il 730 del Waitz e il 725 del Dahn. E questo ci vien confermato 
ancora dai versi mandati, dopo il 787, a Paolo in nome di Carlo: 

« Parvula res Carolus seniori carmina Paulo » 1 ; 

ove se si pone mente a quel seniori^ si vede che alla fantasia di 
Carlo era presente quel vecchio, che pochi anni prima alla sua 
corte era già grave di anni; e questa idea mi vien ribadita dal 
seguente verso: 



« Ad faciem Pauli venerandam perge per urbom, 
Inventumque senein devota mente saluta ». 



Ora quel seniori, quel venerandam, quel senem mi rappresen- 
tano un uomo sulla settantina o poco più poco meno, che prega 
e lavora nel chiostro cassinese. Con tutto questo concorda quel che 
dice il Salernitano: « tandem longaeva aetate, divina vocante po- 
tentia, placida morte quievit » (op. e). 

Ma per stabilire V anno di nascita, che io accetto, credo oppor- 
tuno parlare della educazione dì Paolo. Già abbiamo stabilito che 
Paolo era dei nobili per i meriti di sua stirpe, eh' era nato a 
Cividale. L' epitaffio d' Ilderico dice che egli e per divina disposi- 
zione fa preso tosto in corte per esservi educato a decoro e lustro 
della patria ». 

Il De Santi, per sostenere col Grion la sua opinione nell' asse- 
gnare il 714 come anno di nascita del nostro poeta, mette fuori 
nuove ipotesi intorno all' educazione di Paolo, collegandole tutte a 
Ratchis, prima duca del Friuli e poi, dal 744 al 749, re dei Longo- 
bardi; e vede in regalis aula dell'epitaffio un doppio senso, cioè 
la corte ducale di Forogiulio, dove Paolo fu accolto bambino e la 



1 Po«l. lat. 1, p. 70. 



— 88 — 

reale di Pavia, dove seg^ Ratchis creato reK sforzando cori V epitaffio 
a dire quel che non dice, congetturando su alcuni passi dell' H, L. ' 
e contradicendo a quel che ha detto altrove '. 

A questa opinione però io non sottoscrivo, poiché noi abbiamo 
contro di essa testimonianze di grande autorità ed esplicite. E prima 
di tutto r epitaffio non dice altro, se non che Paolo protinus = ben 
jire9to dopo la sua nascita, fti accolto neir aula regalis. Ora questo 
regcUis non è necessario prenderlo nel doppio senso indicato. 

Noi sappiamo che Liutprando aveva istituita una cappella 
palatina ad imitazione di quella che era alla corte di Francia, come 
attesta lo stesso Paolo : € Quod nulli alii reges habuerant, sacerdotes 
et clericos insti tuit qui ei cotidie officia decantarent » ^. Se avessero 
poi questi sacerdotes et clerici anche V ufficio d' istruire i figli dei 
nobili o quest' ufficio fosse affidato ad altri e sorgessero quindi 
scuole in corte come a Cividale sotto il duca Pemmone (IT. L. VI, 
25, 26) a Benevento, a Torino ecc., non è certo. Sappiamo solo 
che a Pavia, a tempo del re Cumpert verso la fine del sec. VII, 
fiori il grammatico Felice, zio di Flaviano, che fti maestro di Paolo 
Diacono. « Eo tempore (e. 695) floruit in arte grammatica Felix, pa- 
truus Flaviani jTroece^tom mei; ipsum (Felìcem) in tantum rex dilexit, 
ut ei baculum argento auroque decoratum Inter reliqua suae largi- 
tatis munera condonaret » {H. L. VI, 7). Se poi s' aggiunge la 
testimonianza deir epitaffio, si vedrà chiaro che Paolo ricevette la 
sua prima educazione a Pavia^ nella corte reale, sotto la guida di 
Flaviano ; né credo che Flaviano avesse abbandonata questa corte 
per quella ducale di Forogiulio, come sarebbe, se si accettasse 
r ipotesi del De Santi. Tutt' al più possiamo concedere che Paolo 
fti accolto bambino nella corte ducale di Forogiulio, donde, cono- 
sciutasi la sua inclinazione allo stato ecclesiastico, fu mandato in 
corte di Pavia tra i chierici palatini. Mi par di vedere un accenno 
a queste diverse scuole da lui frequentate nel carme citato Sensi 
cuiìis: 

cTres aut qaattaor in scholis quas dìdici siIlabas»S' 



1 Civ. Catt. IG die. 1899, p. 671 ; 17 Febbr. 1909, p. «26. « VI, 26; VI, iS. t Civ. Catt. 
16 die. 1899, p. 664; cfr. Calligaris, Op. e, 1901, p. 40 sgg. « Novali, Op. e, 81. 

5 Cfr. Belhmann, Archiv. X, 855-56. — Waltenbach, Deutachl. Geschichtsquellen^ 1, 165 
(1893) — WaiU, M. O. JST., Voi. cit., p. 13. — Del Giudice, Lo atorico dei Long. 1880, p. 364 — 
CalUgaris, op. e, 1899, p. 63; 1901, p. 42 — 11 Dahn (op. e, 9) siccome nega ogni auloiilé al- 
l' epitaffio, nega anche T educazione di Paolo a corte. Una conferma di una lunga dimora di 
Paolo a Pavia può aversi da alcuni luoglai della H, L. IV, 49, 59; V, 3i, 36; VI, 5, 58. 



— 89 — 



5. 

Educazione ecclesiastica e gloria acquistata 

nel secolo. 



vv. 16-22, Questa volta, prima di dare la traduzione è neces- 
sario discutere le varianti, da cui dipende T interpretazione. 

Il Calligaris ' dice che « i versi 16-17 sono, quali li leggiamo 
nel codice, evidentemente scorretti, tanto che gli antichi editori 
alla lezione del codice tibidem sostituiscono IHbridem, interpretando 
la frase che ne risultava post Tibridem, come significasse ed di là 
del Tevere, giacché da Montecassino si parlava di Longobardi del- 
l'Italia del Nord. ». Il Waitz e il Diimmler lessero ibidem =z colàj 
nella reggia. Il Grion ^ scrive : « È un po' duro ammettere che ibidem 
(alla corte di Pavia) fossero i popoli e gli alti re (duchi, reggenti) 
godenti la pace, e non piuttosto^ per chi di un friulese scrive in 
Montecassino, al di là del Tevere, dove Ratchis mantenne la pace 
a' suoi popoli e con 1' esarca di Ravenna ». Il Traube ^ fé' pel primo 
notare che il post del v. 16 si oppone al tiinc del v. 17, restituendo 
cosi il testo: 



« Cum, quac turbida post populis et rogibus altis 
Tonc placida cunctis vita studiumque nianoret ». 



Il De Santi * restituì il testo in tal maniera : 



< Cum libi, po.st trepida populis et regibus altis 
Tunc placida cunctis, vita studiumque maneret ». 



Ma il Calligaris * preferisce lasciare intatta la lezione del codice, 
per dare campo a nuove congetture degli studiosi. 

Pensino gli altri come vogliono, io preferisco la lezione del 
codice ; perciò dico che post ò avverbio, invece di postea^ e che, 



1 Op. e, 1901, p. M. « Op. fil., 18. 3 Tertfjrsrhich. der Regula 5. Ben., 101. 

4 Or. Cali., quad. 10 die. 1899, pp. 662-3. 5 Op. e, 1001, p. 39. 



— 90 — 

siccome il verseggiatore Ilderico espone per sommi capi i casi della 
vita di Paolo, avendo egli detto che questi fu accolto subito in 
corte, soggiunse queLche segue. 

Tibidem io credo che sia una parola composta di ttbi e idem; 
né sembri strano, poiché non sono infrequenti tali composizioni 
negli scrittori di queir età, come abbiam veduto nello studio della 
lingua. Ed a chi volesse opporre che in tibidem il secondo i è 
lungo come in ibidem ricordiamo quanto si è detto parlando della 
metrica. 

Altro campo a molte e diverse opinioni ha dato il cunctos del 
V. 21 e V arctocis... gentea del v. 22. Il Grion * propone di leggere 
cunctos, riferendolo ad ctrctocut gentes; cosi pure il Crivellucci * ed 
il De Santi ^, incerto fra Tuna e l'altra forma, propende infine "per 
cunctcu. Gli altri critici accettano cunctos. Io accetto cunctcìs e ne 
darò le ragioni, dopo che mi sarò fermato alquanto suir arctocis 
gentes. 

Il Dahn, il Bethmann, il Waitz hanno visto in questa espres- 
sione indicati Longobardi e Franchi, credendo che V epitaiista 
avesse errato circa il tempo della monacazione del suo maestro; 
onde il Dahn argomenta la falsità dell' epitaffio. Il Traube * inter- 
preta il V. 22, dicendo: « Geht er als Lehrer ins Frankreich » ; e, 
siccome questa interpretazione e i versi che seguono avrebbero 
contradetto alla data da lui posta per la monacatone di Paolo, 
spiega il dcwe del v. 29 come un reddere, quasi che Ilderico voglia 
intendere che Paolo, fuggendo la gloria del mondo, se ne ritornasse 
al chiostro. 

Dicevo dunque che preferisco a cunctos il cunctas, riferendolo 
ad arctoas gentes : perchè mi par troppo duro ammettere resplendensj 
da cui dipenderebbe il cunctos, come verbo transitivo, esempio che 
io non trovo né nel Forcellini né nel Du Gange. Perciò credo di 
ritenere cunctos; e con arctoas gentes non intendo i Longobardi 
soli, come vuole il Calligaris ^, ma i Longobardi e tutti i popoli, 
settentrionali, che Paolo comprende sotto 1' espressione orctoo sub 
axe nell' H, L, (I, 1). Infatti, se noi ci rifacciamo al v. 15, dove 
si dice che Paolo fu preso in corte e ob decus et lumen patriae », 
vedremo chiaro che arctoas gentes si deve riferire a tutti i popoli 



1 Op. e, It. S Op. e, p. 11. Z Civ, CatUy 16 die. 1899, p. 662. 4 Text^^ichich, 
ecc. 709 ggg. 5 Op. e. 1901 p. 4i. 



— 91 — 

settentrionali. Poiché, se i re dei Longobardi, che accolsero il gio- 
vanetto Paolo in corte, ben si accorsero che egli col suo ingegno 
non comune non avrebbe mancato a glorioso fine; vedevano che 
questo rampollo del giovane albero della razza germanica, inne- 
stato snl vecchio ceppo della cultora classica, poteva essere un 
luminare di quei popoli. In primo luogo Paolo sarebbe stato gloria 
di Cividale, dei Longobardi; in secondo luogo dei Franchi e di 
tutti gli altri popoli settentrionali. La gloria di Paolo alla mente 
deir affettuoso discepolo, che ne tesseva l'elogio, poteva sembrare 
troppo ristretta, riferita ai Longobardi soli, perciò non poteva non 
aver presenti i Franchi, illuminati da tanto maestro^ e con essi 
tutti 1 popoli germanici. 

Né si obbietti il disordine cronologico, che ne deriva, essendosi 
Paolo recato in Francia dopo altri fatti, che V epitaffio pone dopo. 
Ma non si pretenda rigore cronologico in un epitaffio, in cui tutto 
é detto con la massima brevità, e tutta la gloria conquistata appa- 
riva allo scrittore in un sol punto. 

Un' altra quistione di minore importanza si contiene in questi 
versi, dove si dice che Paolo per consiglio di re Ratchis si volse agli 
studi sacri; onde argomentiamo che entrò negli ordini sacri, ed 
anche da altri luoghi. Paolo stesso neir Omelia di S. Benedetto ' 
si chiama Paulus Diaconus , nel Comtitutum Theodemarii Abbatis ' 
si firma Ego Paulus Diaconus; l'epitaffio che studiamo lo chiama 
due volte levita: nel v. 3 « Veridicos, levita.,. », nell' acrostico for- 
mante « Paulus Laevita doctor praeclarus et insons ». Diacono lo 
chiama Carlo Magno nella circolare premessa all' Omiliario fatto 
da Paolo, il Necrologio di Montecassino, 1' Anonimo Salernitano, 
Leone Ostiense e in genere tutti gli scrittori del M. E. lo dicono 
diacono. 

Ma di quale chiesa fu diacono? Gli eruditi non tutti conven- 
gono che egli fa diacono del patriarcato Aquilesiese. 11 Dahn ' si 
contenta di riferire le opinioni degli antichi usando tali parole per 
il Salernitano : e II patriarchae AquUejae civitatis diaconus del Sa- 
lernitano é o una invenzione o una supposizione di questo fantastico 
cronista... » Dice che e Leone Ostiense e Pietro Diacono seguono il 
loro maestro (Salernitano) nel ripetere questo particolare » ; che 
« a Giovanni Vultumense non basta Diaconus, ma lo fa addirittura 



1 Migne, Ptttrol. lat, \C\\ 1571. 3 Amelli, Op. e, Ì6. 3 Op. e. «1. 



— 02 — 

archidiaconus di Aquileia ». Egli non si pronunzia affatto. Per questa 
opinione pare che propenda il Zanutto ' ; e il De Santi ' cerca di- 
fenderla con tutti gli argomenti possibili, ponendo il diaconato di 
Paolo tra il 737 e il 744, in base della nascita anticipata fino al 714. 

Ma, io che ho ammessa V educazione di Paolo in corte di Pavia 
fin dalla sua fanciullezza, non posso accettare questa congettura, 
tanto più che V epitaffio dice troppo esplicitamente che Paolo per 
consiglio del re Ratchis si volse agli studi sacri e quindi entrò negli 
ordini sacri. Ma Ratchis fu re tra il 744 e 749. Dunque in questo 
tempo in corte di Pavia potè il nostro poeta entrare negli ordini 
e cosi far parte della cappella palatina. 

Adunque, avendo già escluso come data della nascita di Paolo 
il 725 o 730^ possiamo dire ora che neppure è necessario porla nel 
714 ; ma pigliando una via di mezzo, assegnarla al 720 circa. Ecco 
ora la traduzione: « Di poi scorrendo tranquilla la tua vita nello 
studio, allora a tutti tranquilla, a te stesso, ai popoli ed agli alti re, 
per esortazione del pio re Katchis, incominciasti a penetrare con- 
venientemente tutti i più alti misteri della sacra scienza. Di cui 
avendo tu compresi moltissimi dommi degnamente, rìsplendendo 
come Febo fra gli astri del cielo^ illuminasti di ftilgida luce le genti 
artoe ». 

6. 

Monacazione di Paolo. 

w. 23-29. Al principio del v. 23 abbiamo xin Haec sin. Qui 
evidentemente il testo è corrotto, e ce lo dice V acrostico, che con 
questo punto avrebbe una parola scorretta: prahcUvru» invece di 
praecUirus; ed anche perchè Haec sin non ha alcun senso né con- 
siderato in sé, né in relazione col contesto. 11 Mari quindi propose 
Hàec sint; Mabillon, Gattula, Muratori, Migne, Liruti, Dahn pro- 
posero Et sic. Waitz e Crivellucci Etsi; Dtlmmler, seguito dal De 
Santi^ Et si; Orlon Et sin; Traube Exin (da ecsin^ exin = exi7idé)y 
seguito dal Calligaris. 

Altre varianti di minore importanza sono: v. 23 cum gloria 
saedi, il Crivellucci legge tum o tunc; v. 24 sedule gazis, Crivellucci 
sedyZa; v. 2d Benedicti ad sepia beati, Waitz ad Benedicti sepia beati. 



1 Op. e. 37. 8(?g. 9 Civ. Cali. Serie 17, voi. », p. 439. sgg. 



— 93 — 

Ma torniamo al v. 23. Tra tutte le correzioni la migliore a 
me sembra quella del Traube. Infatti, per quanto non si voglia dare 
air epitaffio la forma di una biografia, non possiamo però negare 
che conservi un certo ordine neir enumerare i diversi fatti della 
vita di Paolo. Ilderico vuol dirci che cosa avvenne al suo maestro 
dopo che ebbe illustrate di sfolgorante luce le gentes arctocu, e ce 
lo dice con queste parole: 

« Indi, mentre la gloria del troppo caduco secolo ti arricchiva, 
costantemente applaudendoti, di condegne ricchezze ; tu. per la vita 
senza fine beata dell' etema luce, generosamente devoto sprezzasti 
gli onori di questa (vita mondana); e, fidente nella pietà dell' im- 
menso Re dei cieli, ti affrettasti qua, al chiostro del beato Benedetto, 
a pigliar con ardore giovanile il giogo di Cristo Signore ». 

Da questi versi appare evidente solo che Paolo fu monaco di 
S. Benedetto a Montecassino. Ma quando vi entrò? Che pensassero 
i cronisti suir entrata di Paolo nel chiostro può vedersi dal riassunto 
fattone dal Calligaris '. 

Questi furono seguiti da tutti gli storici fino al Bethmann ', il 
quale non stabilisce nulla di preciso intomo alla monacazione di 
Paolo e si contenta di dirlo monaco prima del 782, prima della 
sua andata in Francia, ondeggiando cosi fra la tradizione, che 
posticipa la monacazione fino al ritomo dalla Francia, e 1' epitaffio, 
che, come vedremo, non fa supporre tanto ritardo. ' 11 Dahn vor- 
rebbe che si volgesse al chiostro in un momento di dolore, quando 
la sventura era piombata sul suo popolo e sulla sua famiglia, e 
precisamente nel periodo che seguì la caduta del regno, nelle 
agitazioni di quegli anni fortunosi, che avevan potuto maturare 
una deliberazione già vagheggiata. Il chiostro si sarebbe a lui 
ofi'erto come uno scampo *, Il Waitz, che pure risponde alle ragioni 
dell' audace ipercritico Dahn, non si sa decidere circa il tempo 
della monacazione di Paolo *. Il Diimmler * dice verosimile che 
Paolo sarebbe passato da Benevento a Montecassino, secondo una 
congettura del Wattenbach. 

li Grìon, che tanto nuove congetture ha emesse sxdla vita di 
Paolo, pel primo dimostra, tenendo gran conto dell'epitaffio, che 
egli dopo il 753, ma prima del 774, « ammainò le vele ed afferrò 
il porto claustrale» '• 



1 Op. e, 1890, p. 3 s^^. 9 Ibid.iO. 3 Archiv. X, SS6 sgg. 4 Op. e, 13 sgg. 

3 M. G. H., voi. e, 14. • PoL'l. lai. I, 27. 7 Op. e, 13 sgg. 



— 94 — 

Il Traube, studiando V Expositio super Regulam, giunge a con- 
cludere che essa fu scritta in Italia da un monaco, e che questi 
fu Paolo Diacono. Conclude che Paolo entrò in un monastero di 
Lombardia, forse in quel di S. Pietro in Givate (opinione seguita 
anche dall' Amelli ') dove scrisse primi del 774 la sua Expoaitio *. 
Sicché quest' abbandono del mondo fu fatto da Paolo molto prima 
del 774, ma in età più avanzata si sarebbe trasferito a Montecassino. 

Quest' opinione del Traube gitta gran luce sul periodo cosi 
oscuro, di circa 30 anni, che va dal 749 al 774; questa opinione 
fa seguita anche dal De Santi, che con nuove e sode ragioni sostiene 
che Paolo entrò la prima volta nel chiostro cassinese, donde usci 
più tardi per popolare con altri monaci il nuovo monastero di 
Civitate, e, dopo la caduta del regno longobardo, afflitto, gemente 
sulla sorte del suo re e del suo popolo, di nuovo trasse a Monte- 
cassino, cercando pace e conforto '. 

Fra tante opinioni quale seguire? 

Già abbiam veduto quanta lode V epitaffio ildericiano, da noi 
preso a fondamento della nostra discussione, attribuisse a Paolo, 
dopo che egli si volse agli studi sacri, fino a chiamarlo Febo, che 
con la sua luce smagliante illuminò le genti artoe. E come naturai 
conseguenza di tanta scienza ecco nei versi 23-25 accennare a 
ricchezze immense, siano esse spirituali o temporali, ma io credo 
le une e le altre insieme ; accennare ad onori costanti di cui Paolo 
fu coronato dai suoi ammiratori nella corte longobarda e, per anti- 
cipazione, nella corte franca. Ma Paolo tutto generosamente sprezza 
per la luce dell' etema vita e vernanti pectore veste V umile cocolla 
del monaco. I versi dunque 23-29 ci presentano tre punti di par- 
tenza per la dimostrazione della nostra tesi: il primo è quello degli 
onori e delle ricchezze disprezzati; il secondo è nel vernanti pectore, 
il terzo è neir hiic,., Benedicti ad septa beati. Se ci rifacciamo un 
poco indietro nella storia, noi vediamo il pio Ratchis, che tanta 
parte ebbe nell' educazione del nostro, che aveva riconfermata in 
principio del suo regno la tregua di venti anni fatta da Liutprando 
col papa, mancare di fede e invadere il patrimonio di S. Pietro; e, 
indotto da Papa Zaccaria, lo vediamo togliere V assedio e rendersi 
monaco in Montecassino. L' esempio di Ratchis, il suo sparire dalla 
scena del mondo, il deporre armi, scettro, porpora, per vestire l' umile 



1 Op. e, t8 e Dola. 2 Op. e, il. 3 Civ. Catt., quad. 19 Maggio 1900, p. 306 sgg. 



- 95 - 

tonaca del monaco e attendere al lavoro dei campi, dovette far 
grande impressione sul cuore di Paolo. Egli con Ratchis perdeva 
un grande amico, perdeva il suo buon re, il suo mecenate; onde 
io credo probabile che, se non presto, non molto dopo anch' egli 
abbandonò il mondo, seguendo le orme del suo sovrano. Se non 
vogliamo ammettere che Paolo subito segui Ratchis nel chiostro, 
almeno allora ne maturò il disegno, aspettando altra occasione. 
E questa non si fece molto aspettare. Poiché, succeduto a Ratchis 
Astolfo, questi; avventato com' era, prosegui tosto l' impresa inter- 
rotta da quello e s' impossessò di tutto l' esarcato e deir Istria. 
Sicché, sotto questo principe irrequieto e guerriero, forse venne 
meno queir impulso dato ai buoni studi nella corte pavese. A Paolo 
quindi, che già aveva nutrito il suo spirito di bella e soda cultura 
classica, ne piangeva il cuore, e, sprezzati onori, ricchezze, delizie 
di corte, ritirossi nel chiostro. 

Neil' epitaffio nessun accenno a disinganni, non a gravi sciagure 
pubbliche o private determinanti la vocazione monastica di Paolo, 
come per lo più avviene; ma solo generoso disprezzo dì tutto per 
amor di Cristo. Ma le maggiori ricchezze, i più degni allori dovette 
egli mieterli ancor giovane, ancora nel secolo, nella pacifica corte 
di Ratchis; ed a questo tempo felice pensò forse Ilderico per far 
rilevare la grande virtù del suo maestro. E, se ci riportiamo a 
quel vernanti pectore^ dovremo convenire che quello e non altro fu 
il tempo della monacazione di Paolo. 

Si può dire che vernanti è qui in senso traslato. Non è neces- 
sario, mi pare, di ricorrere ad astruserie quando e' è il senso ovvio 
e naturale, che vi sta molto bene. Né mancano esempi di tal fatta 
nel sec. Vili; anzi Paolo stesso dice neir Epitaphium Arichis ducts: 

< Huic geminae n&Ue vernanti flore supersunt»: 
e Venanzio Fortunato: 

€ Lilia, narcissas, violae, rosae, nardas, amomua, 
Qaidquid odorìfero germine mittit Araba 
ludicis ìb vultu, floreotia lumina vemant » l. 



e altrove: 



€ Vir pietate calens, blanda dulcedine vemans » >. 



1 Garm., IV, »i. S Ibid. IH, ii. 



— 96 — 

Se dunqae vernanti è qui nel suo proprio senso, possiamo giusta- 
mente dire che Paolo^ nato circa il 720, verso il 750 era nel fior 
degli anni ; quando rinunziò al mondo fallace, agitato, per cercare 
vere ricchezze, pace, riposo indisturbato. E tutto ciò egli chiese a 
Montecassino: Hoc domino properasti.., Christo, subdita colla dare, 
Benedica ad septa beati. 

Ma come conciliare T entrata di Paolo nel chiostro cassinese 
con la sua dimora nel monastero di S. Pietro in Givate, dove Paolo 
scrisse V Expositio super Regulam, secondo la evidente dimostra- 
zione del Traube? Noi già vedemmo che Paolo fu educato a Pavia; 
ma, oltre che Pavia, {E. L., IV, 49, 60; V, 34, 36; VI, 5, 58) egli 
conosce bene Monza e i suoi edifizii {H, L. IV, 22, 23, 48). Questi 
argomenti però possono valere tanto per una prima dimora in 
Pavia, quando per una seconda; è bensì importante notare un 
aneddoto, il quale ci mostrerà essere stato Paolo in quei luoghi 
sotto il re Desiderio, insomma poco prima della caduta del regno 
longobardo. L' aneddoto è questo : L' imperatore greco Costante, 
venuto in Italia (662-671) per strapparne i Longobardi, volle prima 
interrogare un santo eremita, il quale rispose che i Longobardi 
non avrebbero potuto essere vinti, perchè essi avevano a protettore 
S. Giovanni Battista, a cui la regina Teodolinda aveva eretto un 
tempio a Monza. « Veniet autem tempus quando ipsum oraculum 
habebitur despectui et tunc gens ipsa peribit». E Paolo osserva: 
« Quod nos ita factum esse probavimus; qui ante Longobardorum 
perditionem eandem Beati Ioannis basilicam, quae utique in loco 
qui Modicia dicitur est constituta, per viles personàs ordinari 
conspeximus. Ita ut indignis et adulteris non prò vitae merito 
sed praemiorum datione locus venerabilis largiretur » {H. Z>., V, 6), 
Onde appare che Paolo fu a Monza verso la fine del regno Longo- 
bardo, ed anzi dovette praticare tanto quel capitolo, da conoscerne 
tutte le magagne. 

Di questo poi facilmente si convincerebbe chi conoscesse V Ex- 
poHtio, concludendo che essa è stata scritta in un monastero diverso 
da quello di Montecassino, in Lombardia, in provincia di Milano, 
vicino alla reggia ed al monastero di S. Gallo in Svizzera, vicino 
ad una congregazione di chierici canonici, che sono in stretta rela- 
zione coi monaci, che è continuamente onorato da ospiti illustri, i 
quali di là passano; che è ricco di possedimenti, ha molti alunni 
ed oblati '. Il luogo vien determinato dalla poesia al lago di Como, 



I Traubc, op. e, IO — De Sanli, Cic. Catl, Ser. XVII, v. 10, 406 sgg. 



— 97 — 

da me sopra esposta, in coi Paolo mostra di conoscere bene il lago 
e i suoi ridenti dintorni, di cui presenta vivissino quadro. A questo 
proposito scrive il De Santi: « La ridente borgata di Givate nella 
Brianza giace sulla sponda del piccolo lago di Isella a sette chilo- 
metri ad occidente di Lecco. La catena di monti che divide La 
regione dal lago di Lecco chiamasi Comi di Camo, e il pendìo 
che guarda Givate dicesi Monte Pedale. Però il monastero era, a 
quanto pare, dipendente da un altro più antico che sorgeva sul 
pendio del monte, col nome appunto di S. Pietro al Monte, fondato 
nel secolo precedente dal re longobardo Desiderio (759-774), secondo 
che narrano le tradizioni dei cronisti milanesi, riconosciute per buone 
ed autorevoli dai più recenti scrittori \ cosa tanto più probabile, in 
quanto che si conosce con certezza qualche altra fondazione di 
monasteri benedettini fatta dal medesimo Desiderio, come ad esempio 
quella di Lecco, nelle vicinanze di Brescia ^, confidata ad una co- 
lonia di monaci di Montecassino, a cagione senza dubbio, delle 
ottime relazioni in che Desiderio, nativo di Brescia, era stato con 
r Abate Petronace, bresciano anch' egli, e quindi, dopo la morte 
di questo nel 751 col monastero e coi monaci di Montecassino ' >. 
Ora dalla descrizione che il De Santi fa di Givate, possiamo arguire 
che il verso « Gomua panda tibi sunt instar vertice tauri » sia stato 
suggerito dalla denominazione di Corni di Camo al poeta, che 
aveva contemplati quei luoghi con sentimenti di artista. Ma a me 
sembra meglio credere che qui il poeta voglia parlare dei due rami 
del lago di Gomo, di cui uno dà nome a tutto il lago, V altro ora 
si chiama lago di Lecco; e ciò, se non m' inganno, vuol dire il verso 



« Dant quoque sic nomen oornua panda tibi ». 



Il distico 



« Munera magna vehis divinis dives asylis, 
Regificis niensis munera magna vehis ». 

ci mostra ancora che chi scriveva, doveva essere intimo della corte. 



1 e Si veggano i due importanti lavori d«I HaglslretU; S.Pietro al Monte di Givate (krch. 
Stor. lomb. 1896, 9. XIV). Appunti per la storia deU* Abbazia di Givate^ con appendice di una 
ietterà del p. Giuseppe Allegransa (1. e, 1898, quad. XVII) Vedi pure Savio, La legende dee 
SS. Faustine et lovite (Anal. Bolland. 1896 tom. XV, p. 8 sgg.)>. S < Lubin, Abbaliaram 

Italiae brevis notllia (Romae, 1693, p. 187) >. 3 Cfr. Savio, Anal. Bollaod. clL, p. 35. V. il 
passo cit. In Civ. Catt. Sec. XVll voi 10, p. ilO sgg. 



— 98 — 

alla quale le sponde del lago offrivano munera magna, che erano 
pure offerti ai divini asili, ai monasteri dei dintorni. Tra questi 
monasteri era quello fondato da Desiderio in Givate, il quale fti 
popolato da benedettini cassinesi; niente di piti facile perciò che 
tra gli altri monaci si trovò anche Paolo; egli longobardo, egli giA 
conoscitore di quei luoghi, intimo di quella corte, con la quale i 
monaci avrebbero avuta relazione, egli già monaco fin dal 751 circa. 

£ che non si possa posticipare più di quest' anno la sua mo- 
nacazione risulta evidente a chi legge V Expositio. « Se meditiamo 
il contenuto e la compositione dell' Expositio - così il Traube - ci si 
svolge innanzi un monumento sommamente singolare di arte ese- 
getica e critica» '. E più innanzi: «Abbiamo sotto gli occhi un 
quadro vivace dell' insegnamento neir età di mezzo, e spingiamo 
indietro lo sguardo al ricco svolgimento di studi scientifici che pre- 
cedette». Questo però non basta, l'impronta tutta monastica si 
rivela in modo speciale nella conoscenza piena eh' egli ha della 
Kegola, delle consuetudini monastiche, delle controversie sorte fra, 
i monaci nell' interpn^tazione della Regola. E queste controversie, 
in cui Paolo sentenzia da maestro e impone la sua opinione come 
provetto monaco, erano vive nel monastero cassinese, dopo la rico- 
stituzione della vita e disciplina monastica fatta dall'Abate Petronace, 
di cui pure dovette Paolo ascoltare le lezioni sulla Regola, se vo- 
gliamo prestar fede alla narrazione affettuosa dei fatti di lui, che 
Paolo ci presenta nell' //. L. (IV, 40). 

I monaci erano fuggiti da Montecassino, quando i Longobardi 
lo invasero nel 581, portando seco la santa Regola di S. Benedetto, 
ed altre poche cose, come il peso del pane e la misura del vino. 
Fuggirono a Roma presso il Laterano, dove rimasero per tutto il 
sec. VII, fino al 717, quando Petronace lo ristorò e lo ripopolò di 
monaci. Sicché dopo tanto tempo, nel ricostituire la vita monastica 
dovettero sorgere controversie, specialmente quando nel 748 Papa 
Zaccaria riportò a Montecassino il Codice della Regola *. L' eco 
fedele di queste controversie noi troviamo nell' KcpoaitiOy la quale, 
se cosi è, dovette essere composta da Paolo monaco, e monaco 
autorevole. 

Da quanto siamo venuti dicendo possiamo con molta proba- 
bilità concludere che Paolo fu monaco cassinese sin dal 751 circa; 
che, fatto re Desiderio, egli con gli altri passò nel monastero di 



1 Op. e, .TO-IO. i Toslj, Op. e, I. 



— 99 — 

Givate, donde facilmente passò alla corte di Desiderio, di cui non 
ò impossibile che fosse segretario (notarius), secondo Leone Ostiense 
(1. e). A corte egli fu maesttro di Adelperga. Facile quindi che 
r abbia accompagnata sposa ad Arichis duca di Benevento, cosa 
allora non straordinaria quando pensiamo che a Paolo nella corte 
di Carlo Magno era stato affidato V incarico d^ insegnare il greco 
ai chierici che dovevano accompagp[iare Rotrude a Costantinopoli, 
sposa dell' imperatore bizantino ^ Niente di straordinario, se si 
pensa in quanto onore fosse tenuto il pedagogo nella corte longo- 
barda ^. 

Accompagnata Adelperga a Benevento, facilmente sì sarà trat- 
tenuto per qualche tempo in questa corte, in dotte discussioni con 
Arichis e con la sua discepola Adelperga, componendo versi di 
occasione, come dice V anonimo Salernitano (e. 10); e qui non pos- 
siamo tacciarlo di leggenda. Allora la vicinanza del luogo, il bisogno 
di solitudine^ la nausea per la vita di corte gli riaccesero forse il 
desiderio di Montecassino. Paolo aveva dedicati ai coniugi bene- 
ventani nel 763 i versi A principio meculorum, aveva scritto per 
Adelperga il Breviarium Eutropii, forse quando si trovava nella 
corte patema; ma perchè a costei « praeter immodicam etiam bre- 
vitatem displicuit quia, utpote vir gentilis, in nullo divinae historìae 
cultusque nostri fecerit mentionem » ', cosi lo ampliò, servendosi 
di S. Girolamo, di Orosio, dell' Origo gentis romanae, della Cronaca 
del mondo di Aurelio Vittore, del lordanis *. 

Questi libri forse li avrebbe potuto avere a corte, ma non 
vi avrebbe potuto compiere un siffatto lavoro, mancandogli la 
tranquillità necessaria. Dobbiamo dunque ammettere o che Paolo 
tornasse nel!' Italia settentrionale, nel monastero di Civate, o che 
egli, chiesta ed ottenuta licenza dal suo abate, se ne tornasse a 
Montecassino, il che a me sembra più probabile ; neir altra ipotesi 
dobbiamo forse ritardare il ritorno a Montecassino a dopo il 774 *. 

Tornato dunque Paolo a Montecassino, la sua vita non scorse 
più cosi serena, quale egli 1' aveva immaginata. Quella pace, da 



1 Poèt. lat. I, iS-9. S H. L. IV, 18. 3 M. G. H. Epistolae aevi earol, li, S(5; Droisen, 
Auetor. antiquissimi II, 4. 4 Ebert, op. e, U. — Per la quisUone della data cfr. BethmanD, 
(Arcato, X, 28S) che la pone tra U 766 e 781; Dahn (op. e, 15 e 19) non va oltre il 774, e 
questa io tengo. 5 Una conferma della mia opinione mi pare di trovarla nei Oeata Kpp. 

Ifeap, (M. G. H., SS. Rer. Lang. et llal.^ i%ì) sotto 1* an. 766-67, quando il Vescovo Stefano 
subito dopo la sua elezione, che fu nei detto anno, mandò alcuni chierici a Roma per Istruirsi 
nel canto: calios deinde clericos in monasteriuni S. Benedicti Paulo le vitae destina vii •. Sicché 
Paolo era già tornalo a Montecassino prima del 767. 



— 100 — 

lui tanto desiderata, gli è tolta ad un tratto dalla terribile catastrofe, 
che per mano di Carlo^ re dei Franchi, è procarata alla sua gente, 
a quella gente per la quale egli nutriva viyissimo affetto; e non 
basta; la catrastofe del suo popolo coinvolge anche le persone a 
lui più c^re, i suoi stessi parenti. Desiderio e la moglie Ansa pri- 
gionieri di Carlo e monaci nel Belg^o^ Adelchi fuggitivo a Costanti- 
nopoli, il duca Arichis ed Adelberga, perduta queir alta pace, per 
cui esultava V Ausonia regio nel 763, vanno incontro ad infiniti 
guai. Il fratel suo Arichis con Grimoaldo, figlio del duca beneven- 
tano, ed altri nobili longobardi sono condotti prigionieri da Carlo 
in Francia, perchè partecipi della congiura, ordita da Rotgaudo duca 
del Friuli e da Adelchi contro Carlo (776), i loro beni confiscati. 

Potrebbe credersi che Arichis fosse ostaggio di Carlo dopo la 
presa di Pavia, se questi nella supplica a quello ^ da noi già' es- 
posta, non alludesse a confisca di beni (QuarUalacumqus fuit 
direpta est no9tra supeUex) in seguito a colpa commessa (Debuimus, 
fateor^ asperiora pati) ; invece non è una colpa esser fatto ostaggio 
di guerra. ' 

Povero Paolo! L'anima sua è doppiamente angosciata; versa 
in terribili angustie per quell'affetto vivissimo, eh' egli nutre per il 
suo popolo e per la sua famiglia. Povero monaco! Mi par di vederlo, 
accorato dalle presenti sventure, piangere amaramente sulla sorte 
del suo popolo e dei suoi, e prostrato sulla tomba del suo S. Bene- 
detto, pregar pace eterna ai trapassati e prosperità ai superstiti. 

7. 

Passaggio In Francia. 

L' occasione, che fece passare Paolo in Francia, fu la detta 
supplica a Carlo per ottenere la liberazione del fratello dalla pri- 
gionia. Nella supplica è presso a poco indicata la data {Septimìis 
annus adest ex quo nova causa dolores), posta la repressione della 
congiura nella Pasqua del 783 *. 

Questa poesia fu fatta recapitare a Carlo, secondo alcuni *, in 
Roma, dove Carlo venne nella Pasqua del 781, anzi, secondo co- 



1 Verba tui famuli. V. sopra. % Dahn. op. e, «8. 3 Dahn, op. e, Ì0. 4 Tosti, op. 
e. I; cfr. Amelli, up. e, 19. 



— 101 — 

storo, Paolo la presentò personalmente; secondo altri \ che io segno, 
fu fatta recapitare in Francia non più tardi del 783 e non prima 
del 782, altrimenti non potrebbe tornare il computo dei sette anni. 
I pietosi sentimenti in essa artisticamente espressi dovettero fare 
grande impressione suU' animo di Carlo e accendere in lui, che 
tanto amava i dotti ed i poeti, il desiderio di aver Paolo a corte '. 
Comunque sia, da ciò possiamo argomentare che Paolo si recò in 
Francia non più tardi del 783 e non prima del 782. Che già egli 
si trovasse in Francia nel 783 lo dimostra V epitaffio della Regina 
Ildegarde, morta il 30 Aprile 783, da lui compo>to '. L' affetto, che 
da questo spira, il compianto universale da lui a maraviglia de- 
scritto non fanno supporre un uomo estraneo o che scrive dopo 
qualche tempo, ma uno che conobbe Ildegarde e le sue virtù. 

L' accoglienza che Paolo si ebbe a corte già la vedemmo espo- 
nendo la poesia di Pietro da Pisa (Nos dicamus) e la rispettiva 
risposta (Sensi cuius); la sua attività a corte anche la vedemmo. 
Nonostante però tanti onori e sì lieta accoglienza, Paolo, scrivendo 
al suo abate Teodemaro ^ gli dice che nel palazzo reale egli si 
vede come in carcere e solo ve lo ritiene V amor delle anime e la 
speranza di veder quanto prima sciolte le catene ai suoi prigionieri; 
non ricchezze, non onori, nessun altro aflTetto può rattenerlo in 
Francia, e appena egli avrà compiuta la missione sua vuol tornare 
ad ogni costo alla sua patria spirituale, ai suoi cari confratelli, di 
cui in un solo anno son trapassati parecchi. Sicché da questa let- 
tera appare che Paolo non ottenne subito la liberazione dei suoi 
prigionieri. 

Qui si presenta un' altra questione. Paolo prese parte anche egli 
al tentativo di riscossa del 776? Il Prof. Crivcllucci * lo vuole, appog- 
giandosi principalmente alla citata poesia Verìxi tui fantìdi^ e con lui 
r Hauch ®, che dubitò aver Paolo fin dal 774 eccitata contro di sé V ira 
di Carlo, e ne vede la conferma nel carme oscuro e scorretto Ea Ubi, 
Paule \ che il Prof. Crivellucci (l, e. p. 6) crede potrebbe alludere 
ai moti del 776, se veramente é diretto al nostro. Il Traube • pure 
vi acconsente, ma, siccome ammette che Paolo era già monaco, 
crede si opponesse a Carlo in modo ben diverso che con la spada, 



1 Atti e Memorie ecc. 90 — Poil. lui., I, 47. % Poti lat., I, 360 (H, 3). 3 fb'ìó. I, 

58 noia. i M. G. H., Epiatolae, IV, 509. 5 Op. e, 3-10. 6 Kirchengeachichte ecc. II, 15«. 
7 Poél. lai. I, 70-1. 8 Op. e, 711' 



— 102 — 

come parrebbe dire il carme citato En tibi, Panie. Gli argomenti, che 
il Crivellucci trae dal citato carme Verba tui famuli^ sono nel v. 3 

« Sum miser, ut mereor, quantum vix uUus in orbe est ». 

e nel v. 32. 

« Debuimus, fateor aspcriora pati. » 

Ma, se ben si considera, si vede che Paolo fa causa comune 
con la sua famiglia disgraziata e la poesia non è altro che la viva 
espressione del suo grande affetto per i suoi, come si può vedere 
nel secondo verso: 

« Respice et afl'ectum cum pietate meum ». 

Ciò posto, é naturale che egli consideri come suo ogni danno 
dei suoi e che si dica meritevole di quella miseria, di quel dolore, 
e che confessi di esser degno di maggiori pene senz' essere reo. 
Aggiungasi che Paolo era già monaco a quel tempo (ciò che non 
ammette il chiaro Professore) e come tale egli prende con rasse- 
gnazione tutto ciò che la Provvidenza gli manda. Che se valesse 
1' argomentazione del Crivellucci, prendendosi nel vero senso quello 
parole, siccome presenta la supplica a nome di tutta la famiglia, 
dovremmo pure ammettere che non solo egli, ma la moglie di 
Arichis, la vergine sorella, perfino gì' innocenti figliuoli fossero rei 
al cospetto di Carlo. Da questa poesia dunque nulla può argomen- 
tarsi contro Paolo. 

Nulla può argomentarsi neppure dalla poesìa di Pietro, a nome 
di Carlo, Panie, mb umoroso; nulla dalla risposta a questo. Sic ego 
suscepi'^ le quali, come sopra vedemmo, non hanno quel grave senso, 
che vuol dar loro il Crivellucci; sia la domanda che la risposta 
sono scherzevoli. Solo ci rimane a dichiarare quel tetro moerore 
relieto * e quod te post tenebì^as fecit cognoscere lumen del carme Paule, 
sub umoroso; ambedue queste espressioni accennano a fine di tri- 
stezza e di dolore, che travagliarono T animo di Paolo e che erano 
cagionati dalla prigionia del fratello, degli altri notabili Longobardi, 
dalla sventura di sua famiglia. Né creda il prof. Crivellucci di 
trovare appoggio in quel facinus dell' altro carme di Paolo ^, poiché 



1 Cfr. Epist. cit. aTcodemaro: « Ceterum quam primum va lucro et mihi coeli dominus per 
pium prlneipem «tocr^nt mo(?rort5 meisque caplivfs jnga iniseriae dimiserit... mox... repedabo». 
t V. 15. « Sic ubi donasti facimia^ pietaiis amator, Inflaiumat validus cor mjhi vester amor >. 



— 10.3 — 

Ogni congettxira svanisce considerando la partecipazione profonda 
di Paolo al dolore dei suoi, la quale gli faceva considerare come 
sua anche la colpa loro. 

Il 787 è comunemente assegnato dagli storici come data del 
ritomo di Paolo in Italia. Gli argomenti, che se ne adducono in 
prova sono: Nel 787 si ruppe il trattato di nozze tra la figlia di 
Carlo, Rotrude, e il figlio d' Irene, imperatore d' Oriente ; e Paolo, 
che aveva dovuto insegnare il greco ai chierici, che dovevano 
seguire la sposa a Costantinopoli, era così libero da un vincolo, 
che ancora lo riteneva in quella corte *. In quest' anno Carlo venne 
in Italia, a Montecassino, e niente di più facile che Paolo seguisse 
il suo signore e benefattore *. In quest' anno moriva (26 agosto) 
r amico del suo cuore Arichis di Benevento, e Paolo lo piangeva 
sinceramente neir Epitaffio Lugentum lacrimis. Nò vi può esser 
dubbio ch'egli T abbia composto in Italia, se si considera che 
l'espressione Gallia dura del verso 

« Ast alium extorrem Gallia dura tenet » 

non conveniva a Paolo, dimorante nella corte franca '. C è l'altra 
ragione dell' Omiliario, composto a Montecassino e non in Francia, 
come si accennò parlando della dedica Ampia mihi veltro e come 
ampiamente dimostra il Dahn *. Ma se Paolo si separò da Carlo, 
rimanendosi nel chiostro cassinese, rimase tra loro un vincolo di 
tenerissimo aflPetto, come mostrano le due epistole di Carlo al mo- 
naco Parvula rex Carolus * e Christe pater mundi ®; in questa Carlo 
lo ringrazia anche per un carme a lui mandato, ma che noi non 
conosciamo : 

« Carré per Ausoniae non segnis epistola campos, 
Atque meo Paulo certam debeto salutem, 
Gratificas laudos die et prò Carmine laeto, 
Quod milii jam dudum placiduoi diserai ilio ». 



E conchiude: 



€ Colla mei Pauli gaudendo amplecte benigne, 
Dicito multoties: Salve, pater optime, salve!» 



1 Po^t. lai. I, 48-9 — Dahn, op. e, 47. S Tosti, op. e, I, 41. 3 Dahn, op. e, 53. 
4 Op. e, 52 sgg. 5 Foci. lat. J, 69. 6 Ibid. I, 70. 



— 104 — 



8. 

Vita di Paolo nel chiostro. 

vv. 30-37. Le varianti incontrate in questi versi non sono molte 
nò importanti. Nel v. 30 manca nel codice il tuis , aggiunto dai 
critici. Nel v. 31 abbiamo in rasura fulge(tri8) , sotto rasura 
fidgens. Nel v. 35, dove il codice ha venerandae^ che non ha 
ragione di essere, essendo manifestamente un errore dell' amanuense 
queir ae per e, tutti i critici pongono venerande. Ma e' è tra 
loro discrepanza rispetto alla punteggiatura. Il Migne, il Liruti, il 
Dahn leggono: 

€ Omne simulque bonura, semper venerande manebat ». 

Il Calligaris invece pone la prima virgola dopo semper^ la quale 
punteggiatura è da me seguita. Non e' è però nessuna ragione 
di cambiare nel v. 37 retines del codice in retinens , come 
vorrebbe Mari, Mabillon, Gattula, Muratori, Migne, Liruti, Dahn. 
Alla fine poi di questo verso troviamo il - nam di coronam aggiunto 
da mano posteriore. 

L' interpretazione di questi versi è la seguente.* « Dove (a Mon- 
tecassino) la santa adunanza, adoma dei tuoi splendidi esempi, 
allora cominciò a risplendere ben presto come fulgido astro. Poiché 
in te era continua pietà, dolce affetto e nettareo amor di pace; 
vincitrice pazienza, semplicità molto solerte, somma concordia^ in- 
somma ogni bene, o venerando, sempre trovavasi in te. Perciò ora 
ti posseggono gli splendenti regni; e parimenti per tutti i secoli 
ti adorna una corona di stelle ». 

Di quanta luce purissima risulta adorno Paolo da questi ultimi 
versi ! Quanto soave profumo di virtù ! Gioie e dolori erano passati 
su queir anima vergine, in cui la fierezza longobarda si trovava 
bellamente congiunta con V agonizzante, ma pur nella sua agonia 
efficace, cultura latina. Questi due elementi davano all' Italia, al 
mondo medievale quel Paolo, che doveva illuminarlo come astro 
in pieno meriggio. Si vede in quei versi che il fulgore degli esempi 
santi del maestro aveva potentemente operato nell' animo del disce- 
polo, che ne aveva raccolto 1' ultimo respiro. Nel Necrologio e nel 
Chronicon Cassinese del sec. XI si trovano queste parole: 



— 105 — 

« E. Idtis Aprilis (an. 799). Obiit venerandac memoriao domims 
Panlus Diaconus et monachus, et in claustro monastcrii juxta ca- 
pitulum honorifice sepultus est » . Il tredici aprile 799 dunque è la 
data della morte, comunemente accettata. Ma alcuni critici la met- 
tono in dubbio. Il Bethmann dice : « Nec quo anno mora ipsum 
ab opere imperfecto (H, L.) avoca^'erit constat » '. Il Grion ^ la 
pone nel 796. Il biografo del Dizionario Universale del Laroossc la 
pone neir 801. Io mi attengo alla data tradizionale, non avendo altri 
argomenti più gravi per contradirla. 

A quest' uomo di vita illibata^ a questo dotto Ilderico dedica 
r epitaffio con due distici in fine, che qui traduco : « Questo io ti 
chieggo, o santo, che ti sia accetto questo carme d' onore, che il 
tuo Ilderico piangendo cantò : il quale deh ! fa che ottenga per le 
tue sante preghiere requie perenne, o padre sempre caro». E, tanto 
per compiere la lista delle varianti, aggiungo qui che al v. 38 
Mabillon, Gattula, Liruti, leggono liaec per hoc; e al v. 39 leggono 
Hilderic Mari, Muratori, Dahn, per Hildric proposto dal Calligaris. 

Questo è repitaffio, la cui autorità^ dopo i recenti studi, 
non solo è inoppugnabile, ma anche grandissima; sicché esso 
gitta gran luce sulla intricata vita del nostro scrittore. E, dato 
pure il carattere elogiativo di esso> dato pure il convenzionalismo 
di certe frasi, non possiamo però negargli fede nelle linee generali, 
che esso traccia della vita di Paolo, le quali concordano con i fatti 
storici che possediamo. Eppure, dopo tanto testimonianze favore- 
voli all'autenticità ed all'autorità dell'epitaffio d' Ilderico, eccoti 
il Bloch a metter fuori nuovi dubbi, sebbene vaghi contro V au- 
tenticità di esso ^. 



I M. G. H. 5S. Jifr. Long. 22. i Op. e. 3 A. A. XXV, 833. 



X. 

LA TRADIZIONE DEI GODICI 

riassunto di tutti i precfidentl argomenti e aggiunta di altri. 

1.* Gruppo. 

Multicolor quali specie trovasi in un manoscritto della Kathsbibl. 
di Leipzig, Rep. I, 74, sec. X f. 35, in cui sono queste parole: 
« Hos versus Paulus Diaconus composuit in laude Larii lacì : Ordiar 
unde tuas laudes, o maxime Lari ; f. 36 Epitaphion Sophie neptis : 
Roscida de lacrimis; 36 versus Super sepulchrum domne Anse regine: 
Lactea splenditico quae fulgit; f. 37 Item versus in tribunali: 
Multicolor quali specie. » Moriz Haupt, che pubblicò queste poesie 
pel primo, nel Berichten der kón, sOchs. Gesellschaft der Wis- 
senschaft del 1850, philos, hist. Kl, II, 6-9 ed in Opvscula I, 
292-95, le attribuisce tutte al nostro Paolo *. Ma, se senza fonda- 
mento negò r autenticità di queste poesie il Dahn, classificando 
la prima, la 4erza e la quarta tra le e ganz unbeglaubigt und abzu- 
sprechen » e la seconda tra le « zweifelhaften » ', non so con quanta 
ragione il Diimmler accoglie le prime tre e dubita della quarta. 
Noi, tralasciando quelle, che ora sono accettate da tutti come di 
Paolo Diacono (per la 3* cfr. Capetti, op. e. 63 sgg.), ci occupe- 
remo di questa, dicendo che, oltre agli argomenti di stile e di 
metrica già rilevati, conformi alle altre poesie di Paolo, abbiamo 
la testimonianza del manoscritto : « Hos versus Paulus Diaconus 
composuit », alle quali parole segue V enumerazione dei versi. Ora, 
se il codice dice hos verstis e questi sono scritti in continuazione^ 
vuol dire che, se hos si riferisce alle prime tre poesie, non e' è ra- 
gione di escludere la quarta Multicolor quali specie. Ma a questi versi 



1 -Y. A. IV, 103. t Op. e. 71, cfr. 63-69 e 16. 



— 107 — 

segaono nello stesso codice < Item in basilica sanctae Mariae : O una 
ante omnes felix pulcherrima Virgo; Item versus super crucem. 
Item alia : Chrìste deus mundi, qui lux es Clara diesque »^ i quali 
nello stesso ordine trovansi nel Codex S. Galli 573 sec. IX-X * 
dopo la « Vita S. Leodcgarii » p. 466. Questi versi furono pubblicati 
dall' Haupt {Berichte der sàcJis Ges. s. 9: Opiiac. I, 295); per questa 
ragione potrebbero forse rivendicarsi a Paolo, a parere dello stesso 
Dtimmler, il quale non arreca altra ragione. Ma noi per questi 
come per Multicolor possiamo ripetere lo stesso ragionamento. E, se 
vi si aggiunge che Paolo fu legato da intima amicizia con Arichis 
di Benevento e con la pia Adelperga, nella cui corte si trattenne 
del tempo, al quale si riferiscono molti versi, specialmente sacri, 
noi avremo fondamento su cui basare le nostre congetture. 

Seguono nello stesso codice di S. Gallo : « Item alfabetum de 
bonis sacerdotibus prosa compositum : Ad perennis vitae fontem — 
469; p. 470 Item alfabetum de malis sacerdotibus: Aquarum meis 
quis det — 474 ; Distichon in foribus : Dulcis amice veni pacem — 
475 pone supercilium; Coniurationes convivarum prò potu: Dul- 
cis amico bibe gratanter; p. 476 Ante fores basilicae: Haec do- 
mus est Domini. » Il Diimmler accetta V ultima * di queste per 
il ricordo di Arichis in fine: Farce Arichis^ Christe ecc., sebbene 
poi ne dubiti altrove '. Dice del tutto dubbii ambedue gli Alfabetum, 
che si trovano anche nel cod. parigino 528 , ff. 129-130 (cfr. 
Bethmann Archiv X, 320). Nel cod. parig. sono posti fra le opere 
genuine di Paolo, sicché questo potrebbe indurci a crederli suoi ; ma 
sta contro la diversità di stile, ben lungi dalla concinnità dello stile 
di Paolo, essendo quello arido, ed anche V insolita sovrabbondanza 
di ricordi biblici. Nò è propria di Paolo queir aria di fiero sdegno 
contro gli abusi dei chierici, come si convincerà facilmente chi ci ha 
seguito neir esposizione delle poesie e nella discussione della vita 
sua ; questo zelo straordinario mi sembra più conveniente a persona 
di governo, che ogni giorno contempla le piaghe del clero a lei 
soggetto, cercando porvi riparo non solo con V opera punitrice, 
ma anche ricordando i divini ammonimenti e le divine minacce. 
Inoltre quella strofe, modellata sulla stiflica, sembra cara a Paolino 
vescovo d' Aquileia *, onde possiamo non solo dubitare della genui- 



1 N. A. IV, 110; cfr. Scherrei- Verseichniss der Handschrift der StiftstibUolek 185-87. 
« N. A, 110-11 cfr. Zeitschrifì f. d. Allerlh, XXI, 178. 3 PoOel, lai. I, 66. 4 Ibld. cfr. fra 
i carmi di Pauliiiu Ve yatìr. Do mi ni. 



— 108 — 

uit&, ma anche negarne a Paolo la paternità. Il Bcthmann \ aven- 
doli trovati anonimi nei codici, li pose fra le poesie dubbie, dicen- 
doli o di Paolino o di Wolafrido Strabene; e dopo di lui il Dahn* 
li annoverò tra le poesie ZweifeUiaften. E prima di questi nessuna 
testimonianza e' è in loro favore. L' analogia del metro col secondo 
dei due Alfabetum ci fa ricordare qui i Verstis de Aquileia num- 
quam restauranda: Ad fleìidos tuos, Aquileia, cineree. Questo ritmo 
alfabetico trovasi nei manoscr. Wien phil. 425, sec. X; Haag 830, 
sec. IX. Fu pubblicato dell' Endlicher Codd. latini bibl. Vindob. 
p. 298; dal Duméril, p. 234. Questi versi dal Cassander sono 
attribuiti pure a Paolino, che mori vescovo d' Aquileia neir 804; 
e il Bethmann, sebbene li metta fra le poesie dubbie, pare che 
sia della stessa opinione^ come il Dahn ^. E il Diimmler, troncata 
ogni quistione, li ha posti fra le poesìe di Paolino. 

Nello stesso Cedex S. Galli sono le altre due brevi poesie: 
e Distichon in foribus: Duicis amice, veni pacem sub pectore ge- 
stans — 475 pone supercilium; Coniurationes convivarum prò potu: 
Duicis amice, bibe gratanter. » Queste sono state pubblicate anche 
dal Riese * e sono anche nel Cedex S. Galli 184, sec. XI, p. 246. 
Il Distichon in foribus è stato pubblicato dallo Schenkl ^. Il Dtimmler 
dice che e ambedue potrebbero essere state composte da Paolo. » * 
Ora la gentilezza d' animo di Paolo, il ritratto del monaco esemplare, 
come risulta dalla vita di lui^ la sua indole pacifica, V esperienza delle 
corti e degli uomini di corte, forse lo indussero a scrivere sulla porta 
della sua stanza quei versi per tenerne lontano il maligno^ il mal- 
dicente. E questo forse avvenne in quella corte di Francia, cosi fre- 
quentata da dotti e da poeti^ i quali erano cosi facili a denigrarsi 
reciprocamente, a mettersi in cattiva luce presso il potente Carlo, 
come altrove notammo. L' eguaglianza del metro, la somiglianza 
dello stile del distichon e del brindisi, fra loro e con altre poesie 
di Paolo, mi farebbero inclinare in favore di lui^ se non avessi 
già osservate certe differenze nella metrica del brindisi. Sicché 
lascio in dubbio questo; e, perchè ambedue sono manifestamente 
dell' istesso autore, così il mio dubbio si estonde anche al distichon. 
Ilic decus Italia^. Il De Kossi ' nota : « Cedex Parisinus lat. 



1 Arc/^iV. X. p. 3i0. 9 0p. e, 7i. 31bid. k AnthoUlaLW, XU. ^ Sitzutvj»her. 
dcr phil. hiat. Kl. der Wiener Akad. XLJII, 13. G X A. IV, 110. 1 Inscript. Urbis 

Romac t'hrist. Il, «M). 



— 100 — 

528 saeculi noni * inter Pauli carmina f. 122 elogium senrat Con- 
stantis ducis militum, qui Romani imperii hostes terra mariquf, 
praesertim in Pannonia, debella vit. Hoc epigramma inscriptum 
esse sepulchro viri illustris, qui floruit labente romano imperio 
saeculo quinto, docui tomo I, p. 265-66, 579: nihilominus in Dlimmler 
editione inter Pauli carmina dubia recensetur » '. Il De Rossi adun- 
que avendo dimostrato che quest' epitaffio è di un Costante, duce 
romano, avverte che la forma Constantius, che si trova nel titolo 
Epitaphioìi Constantii del Cod. Sangall. 899 saec. X ^, non dice 
nulla contro la sua opinione, perchè Constantivs è tolto dallo stesso 
epitaffio, dove si trova per ragione di metrica, mentre il Cod. Parig. 
ha Constane ^ Sicché, nonostante i confronti fatti tra queste ed 
altre poesie di Paolo, e' è il fatto storico che diminuisce valore 
a quelli; o tutt' al più si può da questi argomentare, che a tutti gli 
epitaffi di quel tempo fosse comune la dicitura, quasi che tutti si 
informassero ad un tipo. Inoltre anche il Diimmler *, dopo le con- 
siderazioni del De Rossi, V ha riconosciuto spurio. Il De Rossi dice 
che r epitaffio Quid fatis liceat^ in cui il poeta sembra giuocare 
sul nome di un tal Probo defunto, di nobile schiatta, appartiene 
a un tal Domizio Probo dell' illustre famiglia dei Probi e soggiunge: 
« Aniciorum Proborum mausoleum et sepulchra saecuTis quarto et 
quinto in Vaticano fuisse nemo nescit » *. D* altra parte, nonostante 
qualche piccolo confronto fatto, non avendo altri argomenti più 
forti di questo del De Rossi, seguiamo T opinione di questo grande 
archeologo. L' epitaffio trovasi in un' Anthologia Codicis SangaUensis 
899, f. 7 (capite tertio, art. XXVIII item sine loci indicio). 

Nel « Codice Harleiano del Museo Britannico 3685 cart. 8. XV, 
una volta appartenente a Peutinger, secondo la gradita comunica- 
zione del Dr. Hermann Kunst da me citata in Ztsch. fiir deutschcs 
Alterth. XXI, 84 a. 1 — dice il Dtìmmler ' — si trovano queste poe- 
sie: f. 1 Angustae vitae fugiunt consorcia musae, stampata nel 
Ztsch. f. d. Alterth. XXI, 470; Aemula Romuleis consurgunt 
moenia templis ebd. 471; 1 v. Ad Abbatem: Sit tibi sancta pha- 
lanx fecundi ruris ad instar, etc. » . Il Diimmler nota : « Mentre 
io non volli dare alcun determinato giudizio sulla terza diretta ad 
un abate, accolsi le due prime come schiettamente paoline.... » *. 



ICrr. Beihmann, Archita X, 319-90; Dùmmlcr in N. A. IV, lOi-00; Po€t. lat. I, 31 e lab. I. 
t Op. e, Ì8i. 3 Dùminler in N. A. \\\ 10«-08, 876; Poèl. lat. 1, 31, 32. 4 De Rossi, op. 
e. «85. 5 y. A. XVII, 3W. 6 Op. e, v. Il, p. 1', \\t n. 7 y. A., IV, 10». 8 Ibid. 



_ j 



— 110 — 

Quali però sieno le ragioni che muovono il Dtimmler a dubitare 
dei versi Ad Abbatem non lo sappiamo. Tuttavia mi si permetta di 
esprimere la mia debole opinione in proposito. 

Nei versi Corporeos gressus, che il Dtimmler aggiunge in nota * 
a quelli Ad Abbatem e che pur si trovano nel codice (H) « continua 
serie scripti » dopo i precedenti nello stesso foglio, è detto : 



« Si quaeras penetrare polum quo tramite possis 
Clara tibi ostentant Martini exempla beati ». 



Il ricordo degli esempi di S. Martino ai suoi monaci ricorda anche 
a noi Paolo, il quale dice di Venanzio Fortunato che, avendo questi 
una malattia d' occhi, da cui fu liberato per intercessione di S. Mar- 
tino di Tours, da Ravenna si recò per sciogliere il voto al sepolcro 
di quel santo in Francia, e, fissata sua dimora in Poitiers, fu eletto 
vescovo di questa città, dove morì e dove « digno tumulatus honore 
quiescit». £ Paolo aggiunge: «Ad cuius ego tumulum cum illuc 
orationis gratia adventassem hoc epitaphium rogatus ab Apro eiusdem 
loci abbate scribendum'contexui: Ingenio clarus, sensu celer, ore 
suavis » '. A questo proposito nota il Bethmann : « Aper teste diplo- 
mate in Gallia Christiana II p. 1224 allato, Pictavis apud S. Hi- 
larium abbas nondum extitit a. 775, sed iam abbatiam regebat 
a. 780, et a. 782 jam defunctus erat. Paulus ibi fuit intra a. 782- 
786 *». Ora niente di più. facile che in questa visita Paolo abbia 
scritto dei versi per T abate e per la comunità, esortandola a cal- 
care le orme sante del beato- Martino. Il che potrebbe trovare una 
conferma nella congettura del Dahn ^, il quale pensa ad un sog- 
giorno non breve di Paolo a Poitiers ; dove forse fu ospite di Apro, 
aggiungo io; né si dimentichino gli argomenti stilistici e metrici 
sopra esposti. 

Dell' inno Ut queant laxis il Prof. Cipolla scrive : « Lo trovo 
indicato come esistente anche nello Hymnarius di S. Gallo 387 p. 266, 



1 Po€t. lat., 83. 2 M. G. II. SS. Rer. Langob. p. 80. 31bid. n. f. Notiamo una difle- 
renza tra il Bethmann e 11 Dahn neir assegnare il limite del governo dell' Ab. Apro. Il Dahn 
dice che Apro non era più abate nel 7M e non nel 78S (op. e, 31); ed io accetto il 798, 
supponendo un errore di stampa quello del Bethmann, tanto più se si riflette che questi pone 
la visita di Paolo tra il 782-86; quindi, se Apro non era più abate nel 78iS, non e' era ragione 
di prolungare il limile. i 0|). e, 37. 



— IH — 

sec. XI, cfr. Verzeichniss d. Hdd. d. Stiftsbibliotek v. St. Gallcn, 
Halle 1875, p. 131 (cfr. p. 570). Altri Hymnarii mas. (Monaco, 
lat. 7784; Oxford, Bodl. Canonie. 1. B. s. 5; Parigi. Bibl. Nat., 
lat., now. acquis, 443; Roma, Vatic. Palat. lat. 935, 7172; Verona, 
Bibliot. Capit. 109), insieme con moltissime edizioni cita U. Ché- 
valier, Repertorium hymnologicum II [Louvain 1897], p. 703 » '. 
Chi volesse più codici potrebbe vedere nel N. A. (IV, 103), tra i 
quali ricordo quello della Vaticana 4928 proveniente da Benevento 
(cod. 245), il Barberini XI, 171 hymnarius s. XIV tra gli scritti 
beneventani. Ora questi hymnarii esistenti già in Benevento, dove, 
come dimostrammo. Paolo dimorò parecchio, accolto splendida- 
mente da Arichis e trattenendosi con lui « de liberalibus disci- 
plinis » e « de divinis scripturis » e componendo versi, potrebbero 
dirci molto suir origine dell' inno che esaminiamo ; se non altro, 
farci intravedere 1' occasione propizia por la composizione di esso. 
Ma è necessario considerare parecchi argomenti piima di affermare 
che r inno è di Paolo. Questo non ci richiama speciali fatti storici 
sicuri; ma chi ricorda quanto dicemmo sulla dimora di Paolo a 
Pavia, sulle chiese da lui ricordate e viste, innalzate in onore di 
S. Giovanni Battista in Pavia ed in Monza ', chi ricorda che, 
presso questa basilica essendo stato sepolto Rotari, sebbene eretico, 
tuttavia fu salvo, sol perchè si era raccomandato a S. Giovanni 
(//. L. IV, 28) ; chi ricorda che anche S. Benedetto, quando abbattè 
il tempio di Apollo sulla rocca di Cassino, vi dedicò un tempio a 
S. Giovanni Battista *; chi ricorda insomma che S. Giovanni era 
protettore del popolo longobardo e della famiglia monastica, a cui 
Paolo apparteneva secondo lo spirito, avrà argomenti di qualche 
peso per giudicare della paternità dell' inno in esame. Ma, se così 
è, perchè Paolo non ha inserito quest' inno nella sua storia, come 
quello a S. Benedetto e l'epitaffio a Venanzio Fortunato? Perchè, 
se non erro, quest' inno doveva essere già assai diffuso prima che 
scrivesse la storia e prima che venisse alla corte franca. Noi infatti 
abbiamo veduto nella vita di lui quanta fama lo precedesse in 
quella corte e che magnifiche lodi a lui tributasse Pietro da Pisa 
a nome di Carlo. Vedemmo che Pietro lo paragonava a Fiacco 
nei metri, e certo non gli avrebbe fatto tanto encomio, se già 
Paolo non si fosse distinto in qualcuno dei metri più cari al grande 
lirico latino. Fiacco ben ventisei volte adopra il metro saffico, che 



1 Sote bib(iou'r(ffir/u' Cfc, p. 41. ì li. L. IV, *J; V, 6; IV, 19. 3 Tosti, Op. e, . I 



— 112 - 

il nostro Paolo trattò con tanta arte. Noi vedemmo puro nella 
discussione della vita che quelle lodi tributate a Paolo avevano 
una certa esagerazione, ma ciò non toglie che esse abbiano un 
fondo di verità ; altrimenti non sarebbe passato neppure in mente 
a Pietro di salutarlo col nome di Fiacco; ma si sarebbe acconten- 
tato di salutarlo col nome di Tibullo, che Paolo aveva ben meritato 
coi distici a S. Benedetto, con quelli in lode del lago di Como e 
altri ' ; si sarebbe accontentato di salutarlo col nome di Virgilio, 
perchè la fama dei suoi esametri aveva passato i monti. Onde pos- 
siamo argomentare che T inno era stato già composto prima che 
Paolo andasse in Francia. Uno sguardo alla tradizione. 

La prima menzione dell' inno la troviamo in Pietro diacono 
cassinese : « Hymnus quoque S. lohannis B. Sanctique Benedicti 
(composuit) » *. Ugo presso Alberico : « Fertur idem Paulus com- 
posuisse Hymnum de S. lohanne Baptista ». Il Durand ne deter- 
mina r occasione : « Paulus hystoriographus, Rom. Eccl. Diaconus 
Casin. monachus, quadam die cum vellet paschale cereum conse- 
crare, raucae factae sunt fauces eius, quum prius vocales essent. 
Ut ergo vox sibi restitueretur, composuit in honorem Beati lohannis 
hymnum: Ut qtieant laxis resoTiare, in cuius principio petit vocis 
restitutionem quam obtinuit, sicut et merito Sancti lohannis restau- 
rata est Zachariae » '. Questo è un aneddoto, a quanto pare, ricavato 
dalla prima strofe dell' inno, e ripetuto anche dal Possevino * e da 
Loreto Mattei *. Che l' inno si fosse presto divulgato ne fanno fede 
le numerose imitazioni, che il Mone ^ fa rilevare, e i ricordi medievali, 
raccolti dal Manitius \ 11 Vossius * nell' enumerazione cronologica 
dei poeti annovera Paolo, solo perchè autore dell' inno a S. Giovanni 
Battista. Faustino Arevalo * consente pienamente sull' attribuzione 
dell' inno a Paolo, e riferisce che senza sode ragioni fu da Erasmo 
attribuito a S. Ilario *® e che Paciando " confuta Canisio, il quale 
aveva accolta 1' opinione di Erasmo. 



1 Io ritengo che i distici a S. Benedetto furono composti da Paolo fin dalla sua prima 
entrata nel chiostro, come opina il Dahn (op. e, S3 sgg.), che dal verso « Exul, inops, tenuis, 
po£mata parta dedi » vorrebbe argomentare la monacazione di Paolo dopo il 774. 8 Op. e. 
3 Rationale divinorum officiomm. Lugduni, ap. haeredes lacobi lunctae 1568; 438-39; cfr. 
Belhmann, Archiv X, S80. 4 Hinni sacri del Brev. Rom. trad. Venetiae, 1601. Appresso 
Sebast. Combi; 188. 5 Himnodia sacra^ parafrasi armonica degV inni del Brev. Romano. 

Bologna, Longhi s. a. 787. 6 Laiein. Hymnen des MiUelalters. Dritler Band Heiligenlieder ; 
In Breisgau, 1955; 43, 44; cfr. Capelli, op. e, 68 sgg. 7 N. A. XVI, 176. 8 De arte poètica. 
9 H;/mnodia hispanica. 10 V. Oudin, De scriptoribus eccl. saec. IV, T. I, col. &o3. 11 Dis- 
sert. i, cap. 6 De ctiltu S. lohannis B. 



— 113 — 

Questa è la tradizione per sommi capi, pur sufficiente a dar 
fondamento alle congetture ; e lo stesso Dahn, che ipercriticamente 
fa un fascio di quasi tutte le poesie dubbie, dichiarandole « ganz 
unbeglaubigt und abzusprechen », comprendendovi anche quelle 
che da altri son ritenute come genuine, di quest' inno dice eh' è 
« ungeniigend beglaubigt » ^ Ma di tutte le testimonianze tradi- 
zionali a me sembra la più grave quella di Pietro Diacono, primo 
per ordine di tempo, né credo doversi qui prestare ascolto al 
Balzani^ che lo caratterizza come vanitoso^ appassionato, malsiii' 
cero *; perchè, se in altro forse può meritare poca fede, non però 
qui, non essendovi ragioni di vanità, di passione, di poca sincerità. 
Tutti questi argomenti aggfiunti a quello dello stile e della metrica 
mi fanno ritenere di Paolo questo inno. 

L' inno Quis possit ampio famine praepotens trovasi, oltre che 
nel ms. Urbinate 585, sec. XI (cfr. Isidori opp. ed Areval. II, 390), 
già pubblicato dal Bethmann p. 413, anche negli hymnarii Vatic. 
3928 e in ambedue quelli di Farfa, sec. X. Trovasi insomma negli 
stessi hymnarii che V inno a S. Giovanni. Fu pubblicato anche dal 
Mone da un breviario del sec. XIII, Vallicella C. 93, 431; presso 
Ozanam, Docum^nU inédits, p. 229 anche della Vatic. 7172. 

Per questo inno si potrebbero ripetere le stesse ragioni che 
per il precedente: Paolo fu paragonato a Fiacco; ma Fiacco non 
solo si distingue nel metro saffico, bensì anche neir alcaico : dunque 
anche T inno in parola può darsi a lui. A questa obbiezione si 
potrebbe rispondere che Paolo ben meritò il titolo di Fiacco per 
la strofe saffica, eh' è usata con tant' arte ; ma non pel metro al- 
caico, perchè egli non solo non adoperò la strofe alcaica di Orazio, 
ma nei versi stessi introdusse parecchie licenze. Ci sarebbe V argo- 
mento dello stile, ma il Capetti * nota : « Opimum quoddam dicendi 
genus distat a consueta Pauli perspicuità te et concisione ». Questa 
osservazione però perde il suo valore, se si considera che Paolo 
suol terminare il periodo con la strofe, la quale nell' inno nostro si 
presenta piuttosto ampia e perciò dà allo stile un' aria di gonfiezza. 
Eppoi all' altezza del soggetto non si adattava lo stile semplice e 
conciso dei distici e degli esametri. 

Se consideriamo la tradizione storica, questa suffraga ben poco. 
Poiché c'è una sola testimonianza esplicita del Mari*: « Extat 



1 Op. e, 71 ; cfr. p. 18 s?ff. S Le cronache itaì. nel Medio Evo. Milano, Iloepli^ 1881, 
p. 161. 3 Op. e, 111. i Up. e, "3. 5 >cllc noie al J)e l'iris illusti'. cns. K. 



— 114 — 

pariter hymnus alcaico metro e veteri ms. Longobardo Beneven- 
tanae ecclcsiae^ ritu in festo Assumptae Virginis deiparae decantari 
solitas, a nostro Paolo, ut asseritur, scriptus». Ma questa non ha 
gran valore perchè V autore stesso dice ut asseritur éenza altra 
ragione. Dopo di lui e' è il Fabricius * che T asserisce. Eccoti poi 
la nuova critica che ne dubita, anzi il Dahn lo rifiuta del tutto ^. 

Tra tante ragioni di valore dall' una parte e dall' altra io non 
so decidermi e lascio la cosa in dubbio qual' era. 

Hoc satìis in viridi. Quest' epitaffio trovasi in più di un codice : 
nel Cod. della Bibl. Naz. di Parigi 528 (una volta di 8. Marziale 
Lemovicense 145) saec. IX. 8°. A p. 135 « Epitaphium Chlodarii 
pueri regis: Hoc satus in — Carolo ». Nel Cod. 899, saec. IX. della 
Stiftsbl. di S. Gallo, f. 456. Neir Harleiano (cit.), f. 3. 

Nei primi due codici esso sta insieme con altre poesie di Paolo, 
neir ultimo con altre poesie dubbie e genuine. Il trovarsi tra poesie 
paoline potrebbe essere già un argomento per sostenere la genuinità 
di questo epitaffio. E il Diimmler difatti dice : « Per assolutamente 
Paolino io faccio anche V epitaffio del Principe Lotario, gemello 
di Ludovico, che, nato nell' autunno del 778, in breve morì ^. Esso 
fu composto in nome della regina Ildegarde, perciò tra il 780 (?) e 
il 783, anno della morte di sua madre » * Ma, col più grande ri- 
spetto air illustre critico, non posso fare a meno di esprimere un 
mio dubbio ; perchè lo stile dell' epitaffio si scosta non poco dalla 
maniera semplice dì Paolo, che non suol fare sfoggio di similitu- 
dini; le parole della decadenza sono in maggior copia. La metrica 
presenta diverse irregolarità. In generale poi 1' epitaffio non spira 
queir affetto delicato, che aleggia in altri di tal fatta ; ma piuttosto 
vi è rettorica. Tutte queste ragioni avranno indotto anche il 
Bethmahn *, il Dahn ^ a dubitare dell' autenticità di esso ; ed io 
propenderei col Bethmann a crederlo di Pietro da Pisa, che già 
si trovava prima di Paolo nella corte franca. 

Haec domus est domini. Questa, eh' è pure tra le poesie dubbie 
nel Cod. S. Galli 573, saec. IX-X, è la sola che il Diimmler accetta 
come Paolina, perchè nell' ultimo verso trovasi il ricordo di Arichis, 
e come tale la stampò in Zeitschrif. f. d. Alterth, (XX, 472) ^ , ma 
poi nei Poet. lat. (I, 66) l' accolse tra quelle d' incerta attribu- 



1 Bibl. mediae et infimac lalinit. voi. 54, p. MO. S Op. e, 18 e 71. 3 Gesta Epp. 
Metten.tium. Vita HJodovici, e. 3; SS. II, «5, 608. i S. A. IV, lOi-Ui. 5 Archiv, X, 319. 
« Up. e, 6» sgg. e li. 7 JS'. A. IV, 112. 



— 115 — 

zione *. Fuori di lui non ne parla altri. Ma a me paro che ogni 
sospetto debba svanire, dopo le considerazioni stilistiche e metriche, 
le quali rafforzano il ricordo storico di Arichis. 

Multa legit paucis. Questi due distici non si trovano in nessun 
codice e sono stati riferiti la prima volta da Gaspare Barth ^. Egli 
dice : « Sed nec egregium nobis Carmen praetereundum est, quod in 
scripto codice offendimus, Pauli ipsius puto, vel in laudem eius com- 
positum nam cum epistola eius ad Carolum regem convenit buie, est 
vero hoc » e seguono i versi. Ma nel v. 2 « hoc servus fecit Karolo rege 
tuus » egli, invece di Karolo, scrive KaroU, nel 3. edesia, nel 4. molto 
dotto — osserva il Traube * — det David vires ms. scet ipse Deus ; ed 
egli va oltre : « Scriptum vero antiquitus docere mihi videtur, quod 
Karolum David vocat, qui suo potissimum aevo ilio nomine concele- 
bratus est. Vide carmina Albini^ Hilperici et alia eius temporis ». Ora 
il Traube * acutamente osserva : « Questa notizia, di cui egli (il Barth) 
si vanta nell' Adv, XLV, 8, era a lui manifesta occasione per imma- 
ginare i versi. Doveva essere suo eclesia per ecclesia a misurare il 
verso, e, mentre egli presumeva di dare alla poesia con un solecismo 
il necessario colorito del tempo, doveva naturalmente addossare ad 
un Paolo Diacono il vocativo rege, I vv. 1 e 2 perciò dovevano di- 
ventare oscuri, quando V autore stesso non sapeva esattamente, se 
egli aveva composta questa poesia o un altro in lode sua ». Dopo 
queste osservazioni, conoscendo noi che Paolo era un pensatore e 
che conosceva la fua grammatica e coltivava i suoi versi non meno 
dei suoi dotti contemporanei ; e vedendo d' altronde che i prìmi 
due versi sono irregolari, privi di senso, di costruzione e prosodia, 
e gli altri due hanno un colorito tanto distinto, dobbiamo conclu- 
dere col Traube che essi « sono direttamente usciti dir ffexenkuch 
di Gaspare Barth. E da lui li prese Ottofredo Muller, da Miiller 
Bethmann, da Bethmann Waitz, ed anche il DtLmmler ne rimase 
ingannato ». Ma questi li rifiutò poi nel N. A, XVIII, 400. 

2.° Gruppo. 

Olim Romulea Sanctus, Questo epigramma, rimasto inedito fino 
air anno 1889, fu pubblicato in splendida edizione dal P. Ambrogio 
Amelli in occasione delle feste millenarie di Paolo Diacono e pre- 
sentato al Congresso storico di Cividale del Friuli. Esso era con- 



1 Cipolla, op. e, 37. 2 Àdi-ersaria, XXXIX, 5, 3 X A. XV, 199-201. i Ibicl. 



— 116 — 

tenuto nel codice 318 dell' archivio cassinese. Rimando gli studiosi 
air opuscolo citato, che per la sua brevità potrà esser letto per 
intero. Io qui, tanto per dame un' idea, ne trascrivo il sommario: 
«1) Scoperta dell'epigramma Cassinese. 2) Testo del medesimo. 
3) Sua versione in italiano. 4) Descrizione e provenienza del codice. 
5) Contenuto del documento. 6) Esame di esso. 7) Luogo e tempo 
del fatto cui si allude. 8) Paolo Diacono testimonio oculare del 
fatto. 9) Conclusioni». II valore degli argomenti storici addotti 
dair illustre monaco è, come a me sembra, di non poca importanza ; 
ma quelle irregolarità metriche più che altrove, e in nessun modo 
giustificabili, quello stile, che si discosta alquanto dalla relativa 
eleganza delle poesie di Paolo, mi fanno non poco restio a riven- 
dicarlo a lui. Sicché, mentre dell' illustre erudito accetto le conclu- 
sioni storiche, non posso fare a meno di esprimere la mia debole 
opinione in contrario. In favore dell' attribuzione a Paolo sta Ugo 
Balzani ^ Ma è contrario il De Santi ' e il Ratti ^, che ne infirmano 
le ragioni storiche. 

Martir Mercuri saeculi. Il Bethmann scrive : « Stampato su un 
solo testo del sommamente strano libro De magicis effectilms (Nea- 
poli, 1634) del medico Pietro Piperno, dove sono queste parole 
(p. 147): Oratio S. Mercurii composita per Paulum Diaconum 
sanctissimae vitae monachum Casini, quondam secretarìum principis 
Beneventani: Salve miles. Piperno non nomina la sua fonte; forse 
è Mario de Vipera De Sancfis Beneventanis, e sarà nel breviario 
beneventano. Che Paolo per la Traslazione, che nel 768 ordinò e 
primo prescrisse il suo protettore Arichis, abbia composto un inno 
è molto probabile ; ma che sia questo con abbondante rima e molto 
perfezionata e col brevissimo accenno ad Arichis, pare molto dubbio. 
Il ms. è da cercarsi in Benevento » ^ E siccome il libro del Piperno 
è molto raro, pubblica egli stesso la strofetta Salve miles, V Oratio 
e l'inno a S. Mercurio: Martir Mercuri, a pp. 332-33. La rima 
molto perfezionata, che noi non troviamo se non una volta sola 
neir inno a S. Giovanni (Mira gestorum famuli tuorumj, e le altre 
considerazioni stilistiche mi dicono che l' inno non è di Paolo. 

Sponsa decora dei. Questo carme 6 contenuto nel Codice Vati- 
cano 1202 del sec. XI, una volta cassinese, nel quale è anonimo 
con una vita della santa: « Tempore quo lustinus Senior Romanae 



1 Le Cronache italiane, 60. 2 Citiltà Colt. Quad. 118S, p. 270. 3 Rendic. Istit. 

Lombardo ecc. II. Ser. XXXllI, i8Ì n. 4 Arvhiv X, 200; cfr. Dahn, op. e, 1" sg. e "l. 



— 117 — 

reipublicae — Amen » *. Fabricius (loh. Albertus): e In hoc Carmine 
testatur Paulus se heroico etìam Carmine eiusdem Vir^inis laudes 
cecinisse: Verinbua heroicis alias etc. Minus verisimilis sententia 
Baronii, qui S. Berthario triboit; nec Bedam auctorem mihl per- 
suaserim, quamlibet in Bedae operibus distichis octo etiam auctiora 
leguntur » *. Il Mabillon dice: « Quod nemo Pauli Diaconi fetum esse 
negabit » ^. Il Bethmann dice che fu composto con quello in lode 
di S. Benedetto, col quale ha comune il metro ^ Il Martinengo lo 
fece conoscere pel primo, attribuendolo a Paolo *. Dopo sì autore- 
voli testimonianze dovrebbe oramai escludersi ogni dubbio suir at- 
tribuzione a Paolo. Ma già il Mabillon aveva ritrattata ^ la sua 
opinione, quando il Dtimmler escluse la poesia dalla sua raccolta, 
ritenendola di Alberico mon. cass. dell' ultima parte del sec. XI ^. 
L' Ebert la ritiene con probabilità di Paolo ■ e il Dahn V annovera 
tra le poesie « ser warscheinlich Paulinisch *. » Il Capetti vi sente 
r imitatore meno esperto, invece V Ebert la dice più bella dei versi 
Ordiar unde tuas e più attraente per la descrizione dell' amore 
fraterno tra i due Santi, per la chiarezza ed abilità neir esprimersi. 
Una ragione di convenienza m' indurrebbe a ritenere di Paolo 
questa poesìa: che, cioè, questi il quale fu monaco cosi affezionato 
al suo Montecassino, dove riposano le ossa dei due Santi, avesse 
speso un po' dell' arte sua a cantare le lodi di S. Scolastica come 
aveva fatto per S. Benedetto. Egli certo non aveva dimenticato 
questa, inneggiando al fratello, ma egli poeta d' occasione non 
avrà lasciato sfuggirsi una qualche festa della Santa senza dire di 
sue lodi. Vero è che lo stile ha una certa ridondanza, la quale ci 
lascia ancora incerti, trattenendoci dal dare un giudizio decisivo. 



1 Cfr. Archiv Wì, M4 e K\ S Bihl. mediae et infimae lai. voi. VI, 800. 3 Ada 
Sanctorum 0. S. B. I, 4S-4Ì; S* Ediz. 39-40. 4 Archita X, SM. 5 Pofmata^ tomo III. 
6 SuppL agli Ada Sancì. O. S. B., 678. 7 N. A. IV, 103. 8 Op, e. II, cap. «.* » Op. e, 71. 



-^oo^o^^^. 



XT. 



CONCLUSIONE 



Da quanto si è detto tìnora credo di poter ritenere di Paolo 
r inno Ut queant laxU e V iscrizione Ante fores basilicae; come 
probabilmente appartenenti a Paolo: Versus in tribunali; In Ba- 
silica S. Mariae; Super crucem; Sine titulo, Christe Deus mundi; 
Ad abbatem; come dubbie: Distichon in foribus; Coniurationes 
convivarum prò potu; Epitaphium Chlodarii ptieri regis ; In assum- 
ptiane S, M, Virginis; Olirà Romulea; Spansa decora dei; come 
spurie: Epithaphium Constantii ducis; Quod fatis liceat; i due 
Alfabetum de bonis e de malis sa^xrdotibus e i Versus de Aquileia 
nunquxim restaurando, che anch' io ritengo di Paolino d' Aquileia ; 
Martir Mercuri saeculi e Salve miles egregie; Multa legis paucis. 

Io non 80 chiudere meglio che riportando poche parole del 
Nevati circa V opera poetica di Paolo : < Paolo non aveva sortito 
dalla natura, che pur gli era stata larga dei suoi doni, le qualità 
che fanno il poeta. I versi da lui dettati manifestano una diligente 
educazione (essi vincono generalmente in correttezza quelli che 
uscirono dalla penna dei più tra i contemporanei suoi), non già 
vivacità di estro e spontanea copia di vena. Ad opera di lunga lena 
non par, del resto, si cimentasse mai ; sicché il suo patrimonio poe- 
tico, costituito com' è unicamente da poesie d' occasione, risulta molto 
modesto. Pochi tra i carmi che a lui s' attribuiscono condotti giusta 
Tuso sulla falsariga di Fortunato, che il Diacono stimava assais- 
simo, s' adornano quindi di veri pregi artistici: 1' epistola a re Carlo 



— 119 — 

per inchinarlo a misericordia verso Arichis prigioniero, V epicedio 
per la nipote Sofia, i reciproci sul lago di Como, ecco le molte 
cose, a parer mio, che destano qualche emozione nel lettore, il 
quale vi sente vibrare una nota di mestizia e d' affetto sincero» *. 
Veramente troppo poche sono le poesie, che il Novati chiama degne 
di considerazione, come facilmente si convincerà chi ci ha seguito 
nel nostro lavoro. 



QUALCHE QUISTIONE DI CRITICA DEL TESTO 



Dichiarai fin da principio che non mi sarei occupato di tutto 
il testo delle poesie di Paolo, ma solo di qualche punto: perchè 
credo necessario aver presenti i codici per un lavoro cosi arduo. 

Il punto di cui mi occupo è il v. 32 di Aemula Romideis, il 
quale così trovasi nell' edizione dei PoUtae Latini: 

« Corda tibi ut relevata bonis spe et fideque redundent » . 

In altro modo io avrei emendato questo verso scorretto, cioè : 

« Corda tibi ut relevata bonis spe et fide redundent », 

se non avessi veduto il Die Karolingische Dichtungen del Traube, 
dove lessi queste parole : « v. 32 sind die coniecturem Wattenbachs 
und Diimmler metrisch unmoglich, zu lesen ist ' Corde tibi ut rele- 
vata boni spes ri te {fldet H) redundet {redundet H) , » . E questa 



I >'o\alf, Op. e, 01. 



— 120 — 

lezione io ho accolta, perchè è più conforme al codice, sebbene 
neppure essa liberi Paolo da qualche inesattezza metrica, come 
sopra notammo. Il Traube poi, a proposito di spes cosi nota ; « Nach 
Zfda. XXI, 471 stande «pe« nicht in H, und darauf grtindet sich 
Wattenbachs, wenn auch trotzdem falsche vermutung » ^ 

Altre poche osservazioni fa il Traube, ma di non grande mo- 
mento. Queste correzioni poi sono citate anche dal Dtimmler, il 
quale fa una revisione di tutte le poesie di Paolo, proponendo 
parecchie varianti, ma in gran parte di poco momento, meno quelle 
che si riferiscono a Candidolum bifido^ le quali portano a nuove 
interpretazioni degli enigmi '. 



jli=»:peiitdioe ii 



Questa seconda appendice è stata occasionata da un articolo 
di Paul V. Winterfeld, intitolato « Paulus Diaconus oder Notker 
der Stammler? » ^ 

L' autore di esso vuol sostenere che non sono di Paolo, ma 
di Notker der Stammler le tre favole del leone malato, del vitello 
e della cicogna, della podagra e della pulce. Ma le ragioni, che egli 
adduce non sono tali da indurci a privare Paolo dei suoi diritti, 
finora quasi generalmente riconosciuti^ su quei tre graziosi compo- 
nimenti. Infatti il Winterfeld non crede capace un Paolo Diacono 
di tanta arte quanta egli ne trova in queste favole. Ma chi avrà 
seguito quanto abbiamo detto nello svolgimento di questa nostra 
tesi, facilmente si convincerà che questo argomento non ha alcun 
valore. Come neppure ha valore V altro argomento dedotto dall' ul- 
timo distico della prima favola, nel quale, secondo il nostro critico, 
r autore ha presente un suo discepolo per insegnargli questa mas- 
sima: e Chi scava una fossa ad un altro, vi cade egli stesso». 



1 Traube. Die Karolinyiscfte DicMungen, 6i. i A. A. XVII, 307 sgg. 3 A'. A. XXIX, 
(190IJ Ì68-71. 



— 121 — 

Certo nessuno potrà negare che qnesta sia la moralità della favola, 
ma chi ricorda quale fosse la vita nella corte di Carlo Magno e 
quanta V intimità di Paolo con questo, non troverà difficoltà ad 
ammettere che una favola con un tale insegnamento potesse esser 
diretta a Carlo o ad un altro poeta di corte. Cerca poi il critico 
nostro nel Codex S. Galli 899, sec. IX un appoggio alle sue con- 
getture, dicendo che sono in esso altre poesie di Paolo, che portano 
il suo nome, mentre le favole non ne fanno alcun cenno. Ma anche 
questo ognun vede quanto futile argomento sia. 

Finché dunque poderose prove non verranno a dirci il con- 
trario, noi non possiamo e non dobbiamo togliere dalla corona 
poetica di Paolo Diacono queste tre gemme. 




Prezzo liire 2,00 



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